Thomas Piketty, intervistato da Anais Ginori per Repubblica (stralcio).
Emerge una contraddizione tra la potenza americana e il suo livello di indebitamento?
«Sì, ed è un punto centrale. Il debito verso l’estero degli Stati Uniti è enorme e finora è costato poco, grazie a tassi d’interesse storicamente bassi. Ma ora le cose stanno cambiando. Con tassi al 4 o 5%, gli Stati Uniti dovranno cominciare a pagare pesantemente il resto del mondo. È una situazione inedita per una potenza dominante.
Anche le potenze coloniali europee avevano deficit commerciali, ma possedevano attivi in tutto il mondo che fruttavano molto più di quanto spendessero».
Vede una logica neocolonialista?
«Trump sogna di tornare a quella logica, appropriandosi in modo brutale di risorse strategiche. Non è fondamentalmente peggiore delle potenze coloniali europee prima del 1914. Semplicemente, sbaglia epoca.
Vorrebbe che quella che lui considera la pax americana — il ruolo di bene pubblico globale che gli Stati Uniti garantiscono dalla Seconda guerra mondiale, soprattutto in termini di sicurezza — fosse finalmente retribuita.
Pensa che questo debba permettere agli Stati Uniti di finanziare i propri deficit eternamente. Si è già cominciato a vedere con le sue posizioni su Groenlandia, Panama o sulle terre rare in Ucraina».
È solo una reazione alla perdita di potenza al livello economico e finanziario?
«C’è anche una spinta ideologica. Il trumpismo è prima di tutto una reazione al fallimento del reaganismo. Reagan aveva promesso che la liberalizzazione globale avrebbe arricchito tutti.
Quarant’anni dopo, la classe media americana non ha visto alcun beneficio. Da qui, la fuga in avanti verso il nazionalismo, una postura classica a destra.
Ma il discorso protezionista è anche contraddittorio: oggi gli Stati Uniti sono in piena occupazione. Dicono di aver perso posti di lavoro, ma se davvero volessero crearne dieci milioni in più, dovrebbero far arrivare lavoratori messicani e molti più immigrati.
Ciò che motiva davvero Trump, J.D.Vance e i miliardari che li sostengono non è tanto la difesa dell’occupazione quanto la perpetuazione di un modello inegualitario e autoritario».