Come un elefante in una cristalleria, Trump sta mandando in frantumi la globalizzazione.
Il principio è “la distruzione creativa”, quella di schumpeteriana memoria: Trump ha avviato un processo distruttivo delle regola imposte dal WTO trent’anni fa, attraverso il quale la sua innovativa politica dei dazi, usati come il martello di Thor, col quale violenta l’economia mondiale, rende obsolete le vecchie idee sul mercato, sostituendole con nuove soluzioni, più efficienti, avanzate o desiderabili.
Apparentemente, quella di The Donald sembrerebbe una provocazione all’insegna della figura retorica del “io sono io e voi non valete che un dazio”.
In realtà è esattamente quello che il capitalismo finanziario desidera, per continuare a fare soldi a palate: è tempo di rimettere in circolazione gli ingenti profitti, accumulati negli ultimi decenni.
Anche a costo di “depurare” gli interessi maturati dai piccoli investitori, che sono quelli che stanno perdendo di più in questi giorni nelle Borse di tutto il mondo. D’altronde è noto che chi “gioca in Borsa” spesso dimentica che c’è chi “gioca con la Borsa”.
Il fine che giustifica i mezzi trumpiani è che i mercati globali si dividano per specializzarsi, si ché non sia più la quantità degli scambi commerciali, ma la qualità specifica della produzione di beni e servizi a competere e fare le differenze, in modo da governare con più autoritarismo le risorse energetiche, l’ambiente naturale, la creatività tecnologica, le esportazioni, la manifattura e di conseguenza la mano d’opera. Là dove fosse necessario, con la deterrenza, cioè l’uso della forza armata, magari nei mari indocinesi.
Mentre i governi europei, ormai obsoleti perché prodotto scadente e scaduto della globalizzazione, sembrano pesci che si dibattono agonizzanti sulla tolda di quella carretta del mare che è diventata l’Ue, la rottura trumpiana si è avverata, come se improvvisamente la politica avesse ripreso il sopravvento sulla finanza.
Così, dopo la crisi del neo-keinesismo che ha mandato alle ortiche la socialdemocrazia europea, – e con lei lo Stato sociale -, ecco il tonfo del neoliberismo, del “meno stato-più mercato” alla Milton Friedman, che getta in confusione politica e nella disperazione del consenso le destre europee.
Se ne è accorto anche Elon Musk, che su X posta un Friedman d’annata, che ciurla sul manico del neoliberismo con la storiella della matita, anche se il beniamino “dei patrioti de noantri” forse non ha ancora ben capito quello che può succedere anche al suo stesso impero finanziario.