di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidi lavoro
Era una storia avvelenata, quella ricamata intorno alla fine di Emanuele D’Asta, il 23enne morto mercoledì 5 febbraio per un crollo nella casa in ristrutturazione a Castel Volturno (Caserta). Non c’era alcun matrimonio alle viste con la fidanzatina 19enne anzi, non c’era nemmeno una fidanzatina, e tanto meno quello era il nido d’amore in cui sarebbero andati a vivere. Talmente avvelenata, la storia, da aver convinto la procura di Santa Maria Capua Vetere ad aprire un’inchiesta e a ordinare l’autopsia sul corpo del giovane.
I primi riscontri dicono che Emanuele D’Asta non è morto per il crollo di un balcone di una villetta linda e pinta, ma per il cedimento del solaio di una vecchia casa con i muri ammuffiti e in precarie condizioni di stabilità. Non risultano peraltro autorizzazioni per l’avvio di lavori di alcun genere. Il ragazzo, infine, al momento del crollo non era solo, come testimoniano i tanti attrezzi trovati sul posto. Con lui c’erano altri lavoratori in nero che si sono dati alla fuga, nonostante un paio di loro fossero con tutta probabilità feriti.
I familiari di Emanuele, che lascia due figli in tenerissima età, urlano la loro verità: “Emanuele durante la settimana lavorava a nero per una ditta che si occupa di ristrutturazione di abitazioni, veniva pagato sui 150 euro a settimana. Anche mercoledì era andato all lavoro nel cantiere di proprietà del padre della ragazza che stava frequentando da poco, ma non è vero che doveva sposarsi. Nel fine settimana si arrangiava in un locale sempre zona Castel Volturno. Aveva avuto un piccolo problema con la giustizia ma poi ha ripreso a lavorare con sacrificio. Quando è avvenuta la tragedia non era solo, il suo corpo è stato spostato dalle macerie e portato a qualche metro di distanza”.
Ora sta alla magistratura restituire verità e dignità a un giovane morto di sfruttamento.