di Sahra Wagenknecht
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“Se l’economista scozzese Adam Smith ha affiancato alla propria opera sulla ricchezza delle nazioni un volume altrettanto corposo sulla Teoria dei sentimenti morali.
Smith era convinto che la mano invisibile del mercato potesse funzionare soltanto in un’economia in cui esistono determinate regole di comportamento che non possono essere garantite dal semplice mercato.
«Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe della fortuna altrui e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità», scriveva Smith con un certo ottimismo.
La celebre tesi secondo cui il libero mercato può portare al benessere collettivo poggiava dunque sul presupposto, da lui dato come certo, che l’essere umano non si comporta come un homo oeconomicus dedito al calcolo utilitaristico, bensì come una creatura comunitaria, il cui egoismo è tenuto a freno dalla lealtà e dall’empatia nei confronti degli altri.
Lo spietato pagamento in contanti Smith sottostimava il potere distruttivo del libero mercato e della ricerca sfrenata del profitto nei confronti dei valori e dei vincoli di comunità riconosciuti.
Un’economia il cui motore centrale consiste nell’idea di ricavare sempre più denaro dal denaro poggia su un freddo calcolo di costi e benefici per il quale tradizione e costumi, religione e morale non sono altro che elementi di disturbo.
Laddove si debba calcolare ogni cosa, gli oggetti perdono il loro senso e il loro valore immanenti.
La disuguaglianza crescente mina inoltre la fiducia, la coesione e l’empatia, dal momento che gli uomini che vivono in mondi completamente diversi e non incontrano più gli altri strati sociali si sentono sempre meno parte di una totalità condivisa.
Già agli inizi del capitalismo il nuovo ordine portò alla frammentazione delle comunità, alla distruzione dei beni comuni e allo sradicamento degli uomini, che vennero strappati ai propri legami consueti e al ritmo di vita tradizionale e consegnati ai mercati e alle macchine, ai cui ritmi si dovettero da quel momento sottomettere.
Il giudizio di Karl Marx secondo cui il capitalismo avrebbe «fatto della dignità personale un semplice valore di scambio» e non avrebbe «lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti» non descrive la realtà sociale del 1848, bensì una linea di sviluppo che si è fatta strada soprattutto nel capitalismo globalizzato e legato al mercato finanziario del XXI secolo.
Ma una società che distrugge le proprie tradizioni, i propri valori e vincoli di comunità, distrugge il collante che la tiene insieme.” (Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra liberale”, Fazi Editore.)