“La lotta degli operai della ex Gkn, condotta con creatività e resistenza pacifiche, ha risvegliato in molti quel senso di giustizia soffocato dal fatalismo rassegnato, portando a galla questioni esistenziali che non riguardano soltanto i 422 licenziati ex abrupto, ma l’intera collettività.
Che si tratti di un negozio, di una fabbrica, di un’agenzia di viaggi o di comunicazione, di un pezzo dell’industria mediatica-culturale o persino dello Stato nei suoi mille impieghi, non c’è quasi persona che non si sia trovata a lavorare in condizioni irregolari, con contratti che non corrispondono alle reali mansioni o al tempo dedicato, oppure sottopagata, senza possibilità di mettere in discussione scelte sbagliate e ingiuste, che non abbia subito ricatti più o meno aperti.
Nei cortei e sul palco delle moltissime manifestazioni del Collettivo sono state fatte le domande che tutti dovrebbero porsi, e ancora di più coloro che vogliono per mestiere, missione o coscienza essere interpreti del presente.
La volontà di non capitolare di fronte all’abuso e alla presunta assenza di alternative ha aperto gli occhi sugli abusi che tutte e tutti, ognuno a proprio modo, subiscono, e sull’atomizzazione dell’azione che è ricetta per la sconfitta del gruppo.
Antonio Gramsci scriveva nel 1917 – a 26 anni – parole che appartengono pienamente al presente, al ruolo della cittadinanza, di ogni lavoratrice e lavoratore, del sindacato, dei media.
“L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza.
Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.
La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.
Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa.
I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa.
Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?” (Antonio Gramsci, “Odio gli indifferenti”, Chiarelettere, Milano 2011.)
(*) Marco Ferri, “Dannazione donna”, 2017).