di LUIGI LA SPINA da lastampa.it | |
Lo strapotere della Chiesa lo scivolone del Quirinale il pugno del Cavaliere.
In un momento in cui ogni coscienza si sente dilaniata da una scelta ugualmente terribile e iniqua, in una questione in cui nessuno si può arrogare il monopolio della giustizia e della verità perché è il dubbio che ci tormenta, c’è una sensazione che addolora di più e acuisce tristezza e pena: la consapevolezza che il grave conflitto politico e istituzionale che si è aperto ieri si gioca sulla pelle di una ragazza. Anzi, sul corpo di una ex ragazza divenuta donna nella lunghissima attesa della morte. Se guardiamo l’incalzare febbrile delle vicende che, in queste ore, si sono susseguite fuori da quella porta che, fortunatamente, ancora separa Eluana dai politici, dai giudici, dai preti, dai dimostranti, dagli schermi tv, si possono cogliere almeno tre impressioni fondamentali: la volontà della Chiesa cattolica, meglio del Vaticano, di dimostrare la forza del suo potere sulla classe politica italiana; la mossa irrituale, comprensibile ma forse sbagliata nella valutazione delle conseguenze, da parte del presidente Napolitano, quando ha spedito la lettera con il preventivo «no» al decreto; il pugno di Berlusconi, con un duplice obbiettivo, di mettere in difficoltà il Presidente della Repubblica e di dimostrare la necessità di una riforma costituzionale che rafforzi i poteri del premier. Per i laici è solo una coincidenza, per i credenti un segno provvidenziale. Per tutti, è comunque curioso che proprio nei giorni in cui si celebrano l’ottantesimo anniversario dei Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa e il quarto di secolo della revisione di quegli accordi, allo scontro tra istituzioni italiane si affianchi il rischio di una dura polemica tra Santa Sede e presidenza della Repubblica. Con ministri vaticani che criticano pesantemente Napolitano. Nell’augurio che non si apra nella società italiana una «guerra di religione» di cui non si sente davvero il bisogno, né se ne comprende la giustificazione, è interessante notare come, sul caso Eluana, sia stata la Santa Sede a esprimere i toni più forti ed esasperati, sia nella polemica pubblica sia col protagonismo indiscusso del Segretario di Stato, cardinal Bertone, nel dialogo con i leader della nostra scena politica. Questo corrisponde alla prevalenza, ormai evidente nel pontificato di Benedetto XVI, degli aspetti teologici su quelli diplomatici. Un carattere che tende a sottovalutare il ruolo anche di capo di Stato che il Pontefice riveste e, quindi, delle pesanti conseguenze che certe parole e certe accuse possono avere sul rapporto tra Vaticano e presidente di uno Stato laico. Uno Stato che rivendica, o dovrebbe rivendicare, la piena autonomia delle sue scelte contro ogni tipo di ingerenze esterne, sia spirituali che temporali. Sarebbe un errore, però, scambiare l’indubbio segnale di forza dimostrato dal Vaticano sulla classe politica italiana, con un’accresciuta influenza della Chiesa nella nostra società. Forse alla debolezza dei partiti e delle leadership si affianca, parallelamente, il timore dei vertici vaticani di un crescente distacco tra i sentimenti e i costumi degli italiani e la Chiesa. Un rischio che si cerca di esorcizzare più con fredde dimostrazioni di potere e di autorità che con manifestazioni di vicinanza pastorale ed affettiva ai problemi concreti della nostra popolazione. Nell’ex residenza dei Papi, al Quirinale, si è vissuta una giornata di altrettanta tensione. È stato evidente il tentativo compiuto da Napolitano di avvertire pubblicamente Berlusconi di quella responsabilità di uno scontro istituzionale che si sarebbe assunta varando il decreto per Eluana. Nel timore di dover esprimere un «no» che lo avrebbe esposto all’accusa di aver voluto firmare una sentenza di morte. Ma il parere preventivo, arrivato proprio durante un consiglio dei ministri che stava decidendo sulla questione, può apparire lesivo di quella piena autonomia e responsabilità che la Costituzione riserva al governo in questi casi. Nella partita a scacchi tra organi dello Stato che si è svolta ieri resta da notare la determinazione del presidente del Consiglio nell’imboccare consapevolmente la via dello scontro col Quirinale. Non tanto e non solo per piegarsi alle volontà del Vaticano, assumendo il ruolo di difensore della fede e della morale cattolica nella politica italiana, in una versione confessionale dell’eredità democristiana. Quanto per assestare, in modo clamoroso, un colpo al prestigio e al ruolo del Capo dello Stato e a chi, come Fini, ne segue troppo pedissequamente i consigli. Sfogando un risentimento che Berlusconi cova da tempo nei confronti di Napolitano e che, finora, si era acconciato a mimetizzare nella diplomazia istituzionale molto a malincuore. Nella speranza, inoltre, di dimostrare quanto sia necessario un riequilibrio dei poteri a favore della presidenza del Consiglio, manifestatasi così impotente in una questione così delicata. Sarà difficile che una riforma costituzionale quale Berlusconi vagheggia sia realizzabile, almeno in tempi ragionevolmente brevi. Ma in politica, soprattutto in quella italiana, non sempre servono i risultati. Bastano le intenzioni. (Beh, buona giornata). |
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