La tesi da me avanzata, e che verrà espressa in maniera esaustiva, è che i partiti stanno crollando in due modalità differenti.
Da una parte, come ormai è stato dimostrato, i partiti non sono più in grado di coinvolgere i cittadini, la cui partecipazione elettorale è al livello più basso mai registrato e con un senso di appartenenza partitica in declino.
In modo simile, i cittadini sono sempre meno disponibili a impegnarsi con i partiti, sia in termini di identificazione sia di appartenenza. In questo senso, i cittadini stanno rinunciando a un coinvolgimento politico di tipo convenzionale.
Dall’altra parte, i partiti non svolgono più il loro ruolo di base per le attività dei loro leader, che guardano con sempre maggiore attenzione alle istituzioni pubbliche esterne e da esse prendono risorse.
I partiti possono ancora fornire la piattaforma necessaria ai leader politici, ma questa piattaforma è utilizzata nei fatti come rampa di lancio per raggiungere altri uffici e posizioni.
I partiti stanno dunque fallendo come risultato di un processo di mutuo indietreggiamento o abbandono, in cui i cittadini si ritirano verso una vita più privata o si rivolgono a forme di rappresentanza più specializzate e specifiche, mentre i leader di partito si ritirano nelle istituzioni, traendo i loro termini e modelli di riferimento più facilmente dai loro ruoli di governatori o funzionari pubblici.
I partiti stanno fallendo perché la tradizionale arena della democrazia partitica, in cui i cittadini interagivano con i loro leader politici e condividevano una senso di appartenenza partitica, è venuta meno. (“Governare il vuoto”, Peter Mair, Rubbettino).