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In memoria di Enzo Baldoni.

Ricevo e pubblico volentieri una ricordo di Till Neuburg.

Enzo Baldoni ( 08/10/1948-26/08/2004)

Ieri erano trascorsi esattamente vent’anni da quando il nostro collega (nel mio caso anche amico e complice di lavoro), Enzo Baldoni, era stato “censurato” per sempre nell’Iraq.

Appena una settimana prima della sua (ultima) partenza, avevamo pranzato in un ristorante argentino dalle parti di San Vittore.

Tra un boccone di Asado e una Carpada, alla mia domanda se temesse di più gli sciiti governativi di Ilyad Allawi, la minoranza sunnita guidata dal militare di origini giordane Abu Mus’ab al-Zarqawu, il califfo dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi, i miliziani comandati da Mouqtada al-Sadr o i combattenti della popolazione curda… la sua risposta era stata netta: «Gli unici che mi fanno paura sono gli americani».

Questa apparente forzatura, a soli diciotto giorni prima della sua uccisione, Enzo l’avrebbe poi confermata sul suo Blogdhad, scritto e postato quotidianamente e in diretta dall’Iraq:

«Fantastici americani. In un anno di arroganza, violenza, maltrattamenti in carcere, arresti illegali e disordini sono riusciti a sprecare tutto il capitale di credibilità che si erano costruiti con la cacciata di Saddam. Adesso anche chi li aveva festeggiati all’arrivo non aspetta altro che si tolgano dai coglioni».

Alla partenza della sua seconda missione di aiuti umanitari (acqua, viveri, medicinali) da Baghdad a Najaf, da portare ai miliziani sadristi trincerati in una moschea di quella città, Enzo annota nel suo blog: «In uno dei due camion c’è un alto esponente dell’esercito del Mahdi (gli uomini di Mouktada al-Sadr) che è la nostra assicurazione sulla vita. L’unica cosa che ci fa davvero paura sono gli americani».

Durante il secondo rientro a Bagdhad, nella colonna della Croce Rossa irachena consistente di alcune camionette contrassegnate con la Mezzaluna Rossa, il solo mezzo attaccato è la Nissan bianca noleggiata da Enzo e guidata dalla sua guida locale Ghareeb.

Poco prima del rapimento, il suo assaltatore e assassino Saad Erebi al-Ubaidy, era stato fotografato durante un confidenziale têta-à-tête con il vicepremier iracheno Bahram Saleh e il comandante supremo delle forze americane nell’Iraq, il generale David Petraeus (successivamente promosso comandante delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan e poi a capo della stessa Cia). Per motivi insondabili di colpo quella foto era poi sparita dal web. L’unica testimonianza su quell’incontro rimane un articolo di Giuliana Sgrena apparso su Internazionale del 23 novembre 2007 che conferma appieno la circostanza.

Quando sabato 21 agosto 2004 la notizia del suo rapimento cominciava a diffondersi in Italia, il quotidiano Libero diretto da Vittorio Feltri usciva con il titolo a piena pagina “Vacanze intelligenti“. Il prosieguo di quella colata di fango Feltri lo affidò al giornalista Renato Farina che tre anni dopo sarebbe stato radiato dall’albo della categoria per aver collaborato con i servizi segreti militari fornendo, ovviamente a pagamento, notizie false sul rapimento milanese dell’Imam Hassan Mustafa Osama Nasr, organizzato dal Sismi per conto della Cia.

Farina e Feltri titolavano i loro pezzi su Baldoni con uno sprezzante “Il pacifista col Kalashnikov” e, ad assassinio avvenuto e confermato, con un sarcastico “I terroristi islamici uccidono il giornalista italiano che cercava i brividi in Iraq“.

Quattro anni dopo, Farina fu eletto deputato e divenne membro della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera scrivendo biografie sul fondatore di Comunione e Liberazione Don Luigi Giussani, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e la vispa Teresa di Calcutta.

Appena quattro mesi prima dell’uccisione di Baldoni, a Baghdad il contractor militare Fabrizio Quattrocchi veniva rapito dalle autoproclamate Falangi Verdi di Maometto.

La sua presenza in Iraq s’inquadrava nel controllo militare del territorio nazionale tra le forze militari istituzionali ma in buona parte anche private, di varie nazionalità, guidate da un comando congiunto statunitense-britannico gestito di persona da Colin Powell e da Tony Blair.

Gli italiani presenti nell’operazione ammontavano a tremila unità. I rapitori lanciarono al governo italiano un ultimatum per un ritiro immediato dei nostri soldati e dei mercenari entro 48 ore dal rapimento.

Dopo il perentorio rifiuto della Farnesina, Quattrocchi veniva giustiziato in circostanze tali da indurre il Capo dello Stato dell’epoca a conferirgli la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Alla richiesta collettiva di 14.000 cittadini (che comprendevano anche Gianni Barbacetto, Enzo Biagi, Giovanna Botteri, Lella Costa, Enrico Deaglio, Antonio Di Bella, Ottavia Piccolo, Pino Scaccia), di onorare anche Baldoni con la stessa medaglia, il massone Carlo Azeglio Ciampi e il ministro degli esteri Massimo D’Alema non avevano mai risposto, nemmeno tramite un portavoce di seconda fila.

Sulle cause che hanno portato al rapimento e all’uccisione di Enzo, più che leggere e sentire le tesi ufficiali in toto asservite ai portavoce del Pentagono, del Foreign Office britannico e della Croce Rossa Italiana, ricordo solo uno stanco clima d’indifferenza, sia politica che mediatica, che andava da uno stizzito «In fondo se l’è cercata…» fino a un apatico «Ma chi gliel’ha fatta fare!».

A parte il suo Blogdhad (tuttora accessibile a chiunque fosse interessato a leggere le sue corrispondenze dall’Iraq), all’epoca Baldoni collaborava con il settimanale Diario diretta da Enrico Deaglio. La cronaca di quei giorni l’ha appena raccontata, in modo civile, acuto e piuttosto dettagliato, lo scrittore e giornalista Giacomo Papi, in una sua rubrica sul quotidiano online Post:

Till Neuburg

Da parte mia aggiungo alcune considerazioni che ambiscono a chiarire le penombre più cupe della fine di Baldoni – certamente non riconducibili a fatalità astrologiche, al puro caso oppure all’insondabile volontà di Allah:

• A Najaf Enzo aveva visto e ahimè toccato con mano come la missione di pace yankee con le sue bombe intelligenti al napalm, al fosforo bianco e all’uranio impoverito, avevano agito sui civili iracheni.

Che presto quelle demo democratiche sarebbero state documentate sia su Diario che nel suo blog, lo davano per scontato non solo i militari e le cancellerie degli Stati occupanti, ma soprattutto i gazzettari più embedded e compromessi con la leggenda mesopotamica delle armi di distruzione di massa irachene.

• Enzo era presente quando i carri armati USA assediavano i ribelli sciiti rifugiati nella moschea di Najaf. Memori della complicità affaristica tra Bush senior e il padre di Bin Laden, quel luogo sacro non poteva assolutamente essere distrutto con armi americane e perciò il comando statunitense era intenzionato a stanare i ribelli con i gas – esattamente come appena due anni prima aveva fatto Putin con i ceceni nel teatro moscovita – ma la presenza di una bandiera con la Croce Rossa sventolata da un giornalista freelance – per giunta occidentale – in quel luogo, rese mediaticamente e politicamente impossibile una strage chimica hi-tech Made in USA. E tutto questo, Enzo lo sapeva benissimo.

• Che la storica combutta militare e finanziaria tra i governi italiani e USA non fosse solo una fantasiosa chimera anti-atlantista di Baldoni, è provato dal fatto di quando nel 1989 gli agenti del FBI entrarono nella sede di Atlanta dell’italianissima Banca Nazionale di Lavoro per scoprire che su indicazione dei tre porcellini dell’economia italiana dell’epoca, 1) Guido Carli (Ministro del Tesoro), 2) Giulio Andreotti (Presidente del Consiglio), 3) Carlo Azeglio Ciampi (Governatore della Banca d’Italia), la BNL aveva bonificato al dittatore Saddam Hussein la bella somma di 4 miliardi di dollari – per acquistare carri armati, missili e armi chimiche americane (per attuare la guerra santa contro l’odiato Iran e sterminare i Curdi).

La colpa di quell’operazione fu addebitata al direttore della sede americana Charles Drogoul che di lì a poco sarebbe morto di un cancro fulminante, ma fu subito chiaro che l’intera operazione era stata avviata dal Premio Nobel per la Pace Henry Kissinger.

Di fatto l’Italia (cioè noi tutti) avevamo finanziato il dittatore iracheno per acquistare armi Made in USA. Di quel plot, con Enzo avevo parlato a lungo, molto prima della sua partenza per l’Iraq.

• Enzo intendeva portare in Italia una lettera del leader sciita Mouqtada al-Sadr destinata al Papa per sollecitarlo a promuovere una tregua militare in Iraq – lettera che l’ambizioso affarista e commissario straordinario della Croce Rossa Italiana voleva a tutti i costi recuperare per consegnarla di persona a Wojtyla.

Nelle possibili trattative separate tra le forze ribelli sciite e gli USA, con quell’agognata intermediazione, il Derrick crocerossino meglio ignoto come Maurizio Scelli, (pieno di soldi estorti ai pellegrini bigotti e ignoranti che anno dopo anno s’erano recati a Lourdes), avrebbe di colpo assunto una visibilità di rilevanza internazionale.

• Era subito evidente che l’ultimatum dei rapitori per un immediato ritiro delle truppe italiane, era pretestuoso e irrealizzabile.

L’autista-guida Ghareeb fu ammazzato a poche ore dell’attacco e l’autorevolezza del Ministro degli esteri Frattini era notoriamente svuotata e sabotata dai nostri servizi segreti a soprattutto da Gianni Letta (sponsor politico dello stesso Scelli il quale, in amichevole combutta con il cardinale Ruini che a sua volta era culo e talare con Wojtyla), decidevano cosa fare e disfare nel ciapanò propagandistico giocato con i vari leader militari e politici musulmani.

Che prima di quel suo ultimo viaggio, Enzo avesse già sperimentato e raccontato tante altre esperienze in luoghi e circostanze che nulla avevano a che fare con il suo – e nostro – abituale entourage, lo poteva apprezzare solo chi era pienamente consapevole che nella sua testa riccioluta e soprattutto nella tastiera di uno dei più bravi copywriter italiani, si celava una straordinaria combinazione di coraggio, partecipazione umana e tanta curiosità:

• con oltre 100 racconti e réportage (e innumerevoli foto), Baldoni aveva raccontato la storia, la cultura, i contrasti e soprattutto l’incredibile lotta guidata dallo spericolato leader Xanana Gusmão, nell’isola di Timor Est

• un intero libro titolato “Piombo e tenerezza” sulle sue lunghe settimane vissute in Colombia, tra le truppe governative, l’esercito rivoluzionario FARC e la popolazione rurale

• un roadbook con una quarantina di inattese testimonianze umane, politiche e fotografiche sulla patria dell’Ejército Rebelde che sfatava buona parte della mitologia cubana

• il lungo racconto del suo avventuroso ritorno in Colombia nel 2003 attraverso 43 capitoli – uno più sorprendente dell’altro

• cinque pagine rivelatrici che raccontano il suo viaggio nella terra dei Chiapas messicani

• la Crociata dell’esercito Karen di adolescenti birmani guidati da due leader dodicenni

• il lebbrosario infernale-paradisiaco delle Hawaii

• le fogne di Bucarest dove convivono bambini drogati, prostitute e cani randagi

• il terremoto che scosse l’Umbria con una violenza dell’Ottavo grado Mercalli

• i suoi dieci giorni passati a Giacarta – la sconosciuta capitale dell’Indonesia

• l’incredibile avventura di Ingrid Betancourt – la miliardaria francese rapita e infine liberata dalle FARC colombiane

• Il comandante Ramón – il Kurz conradiano della Colombia

• …e tanti altri viaggi – fisici, mentali, fotografici, lavorativi e creativi – nel mondo dei fumetti, della scienza, della pedofilia, della pubblicità, di Batman, di Carosello e di B.C.

Sul piano personale, di coppia e di allegre bisbocce a tu per tu… con Enzo ho condiviso alcune esperienze che non sono facili da dimenticare:

• Con un budget impossibile (ma alla fine ce l’avevamo comunque fatta perché come produttore decisamente fuori ruolo e pure un tantino fuori di testa, avevo letteralmente – e numericamente – ricattato uno dei primi servizi per la realizzazione di video digitali europei) quando nel 1995 abbiamo prodotto – e messo in onda – il primo telecomunicato italiano interamente elettronico-virtuale.

Era uno spot per una nuova penna Bic nel quale non c’era nemmeno un unico frame di video girato su pellicola o video-registrato. Erano 750 immagini generate tutte quante con il computer e ogni fase di lay-out, prove, demo, visualizzazioni ed editing veniva digitata ed elaborata in quel di Zagabria – per essere presentata rigorosamente via internet (allora ancora sperimentala e lentissima) con domande, commenti e approvazioni espressi e commentati unicamente tramite una conference call telefonica.

Quell’esordio croato-meneghino di una tecnologia allora ancora del tutto inesplorata dalle nostre parti, indusse il piccolo-grandissimo Oreste Del Buono a dedicarci un commento piuttosto stupito e lusinghiero nella sua rubrica Spot & Dintorni su L’Espresso.

• Quando la mia casa di produzione Camera s’era dotata (tra le prime in Italia) di workstation Macintosh Plus + Laserwriter individuali, non tutto il know-how necessario per cliccare-navigare-stampare-inviare era easy, veloce e user friendly… come puntualmente il loquace Jobs prometteva nelle sue presentazioni trimestrali.

Perciò, per il sottoscritto e il mio mini-team, Enzo agiva – sempre gratis – come un tutorial vivente e sempre sorridente, perché in ambito Mac lui s’era da subito rivelato come un autentico pioniere italiano.

• Quando nel consiglio dell’Art Directors Club Italiano sostenni che per decidere le nostre Hall of Fame, era giunta la fatidica ora X (leggi: eleggere finalmente una donna), la mia proposta di onorare Fernanda Pivano ottenne subito un consenso plebiscitario.

Appena Pivano ricevette il nostro annual stampato con dentro la mia laudatio, me lo rispedì con una dedica molto cordiale. A questo punto le proposi una cena tra amici e – sorpresa! – la mitica Nanda accettò. Nel senso pivaniano-wendersiano l’amico più “americano” che poteva accompagnarmi era, obviously, Enzo.

All’inizio, per una buona oretta ascoltammo tutti estasiati i suoi ricordi su Pavese, Hemingway, i Beatnik, Miller, Bukowski, Dylan, De André, ma quando, finalmente, la Nanda si rivolse a Enzo dicendo «E tu, bel giovanotto, cosa combini nella vita?», lui iniziò a raccontare i suoi viaggi in giro per il mondo… e tutti rimanemmo di colpo ammutoliti, come se il nostro viandante avesse attizzato le braci di un fuoco intorno al quale noi altri stavamo solo ascoltando e sognando.

Alla fine della serata, Pivano abbracciò a lungo Enzo come se i suoi ottant’anni si sarebbero di colpo dimezzati.

Il giorno dopo, nel “suo” Creative Cafè (una mailing list tra un centinaio di creativi, da lui creata, gestita e moderata), Enzo riassunse quell’evento con parole di vibrante rispetto, affetto e candore: «Ieri sera a cena con amici e una signora ultraottantenne con gli occhi vivi. Guardavo quel volto rugoso che è stato molto bello e pensavo: Da queste rovine mi guardano sessant’anni di storia della letteratura americana».

Era l’ennesima prova che Enzo (e tantomeno il sottoscritto) non ce l’aveva con gli americani, ma solo con una trascurabile maggioranza di un impero che colpisce ancora, ancora e ancora… 

I guess.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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