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Brecht, Barthes, Pasolini e il rapporto tra significato e significante.

 “Il segno dominante di ogni arte metonimica – e quindi sintagmatica – è la volontà dell’autore a esprimere un «senso», piuttosto che dei significati.

Quindi a far succedere sempre qualcosa nella sua opera.

Quindi a evocare sempre direttamente la realtà, che è la sede del senso trascendente i significati. «…Certo, l’opera ha sempre un senso: ma è proprio la scienza del senso, che gode attualmente di una espansione straordinaria (per una sorta di snobismo fecondo), a insegnarci paradossalmente che il senso, per così dire, non è racchiuso nel significato.

Il rapporto tra significante e significato (cioè il segno) sembra da principio il fondamento stesso di ogni riflessione «semiologica»: ma in seguito si è portati ad avere del «senso» una visione molto più ampia…»

E ancora: «…Il “senso” è una tale fatalità per l’uomo, che l’arte, in quanto libertà, sembra adoperarsi, soprattutto oggi, non a fare del senso ma, al contrario, a sospenderlo; non a costruire dei sensi ma a non riempirli esattamente».

«Sospendere il senso»: ecco una stupenda epigrafe per quella che potrebbe essere una nuova descrizione dell’impegno, del mandato dello scrittore.

E infatti a questo punto Barthes, pensa subito a Brecht. «In rapporto a questo problema del senso, il caso di Brecht è molto complicato.

Da un lato, ha avuto, come ho detto, una coscienza acuta delle tecniche del senso (posizione, la sua, originalissima in rapporto al marxismo, poco sensibile alla responsabilità della forma); conosceva la responsabilità totale dei più umili significanti, come il colore di un costume o la collocazione di un proiettore…

Infine, abbiamo visto con quale minuzia lavorava, e voleva che si lavorasse, alla responsabilità semantica dei «sintagmi» (l’arte epica, da lui predicata, è del resto un’arte fortemente sintagmatica); naturalmente tutta questa tecnica era pensata in funzione di un senso politico.

“In funzione di, ma forse non in vista di; ed è qui che tocchiamo il secondo aspetto dell’ambiguità brechtiana.

Io mi domando se questo senso impegnato dell’opera di Brecht non è in fin dei conti, a modo suo, un senso sospeso…

C’è senz’altro nel teatro di Brecht un senso, un senso fortissimo, ma questo senso è sempre una domanda.»

Vorrei, infine, che il lettore non sorvolasse, ma leggesse anzi con molta attenzione, le due citazioni conclusive:

«Qui ritorniamo a quello che dicevo all’inizio: il film è bello perché c’è una storia; una storia con un inizio, una fine, una suspense. Attualmente la modernità appare troppo sovente come un modo di barare con la storia e con la psicologia.

Il criterio più immediato della modernità, per un’opera, è di non essere “psicologica”, nel senso tradizionale del termine.

Ma, nello stesso tempo, non si sa bene come espellere questa psicologia, questa famosa oggettività tra gli esseri, questa vertigine relazionale di cui (è questo il paradosso) non sono più ora le opere d’arte a occuparsi, ma soltanto le scienze sociali e la medicina: la psicologia, oggi, sta soltanto nella psicanalisi che, per quanta intelligenza, per quanta apertura ci mettano, è praticata dai medici: l’“anima” è diventata in sé un fatto patologico.

C’è una sorta di rinuncia delle opere moderne di fronte al rapporto interumano, interindividuale.

I grandi movimenti di emancipazione ideologica – diciamo, per parlare chiaramente, il marxismo – hanno lasciato da parte l’uomo privato, e senza dubbio non potevano fare diversamente.

Ora, si sa benissimo che in questo c’è ancora della frode, c’è ancora qualcosa che non va; fino a quando ci saranno scene coniugali, ci saranno domande da porre».

E più avanti: «Ma se agisce… la legge strutturalistica di rotazione dei bisogni e delle forme, noi dovremmo arrivare presto a un’arte più esistenziale.

Vale a dire che le grandi dichiarazioni anti-psicologiche di questi ultimi dieci anni (dichiarazioni alle quali ho partecipato io stesso, come si deve) dovrebbero ribaltarsi e passare di moda». Ora, che cos’è, in concreto, questo «senso» delle cose al di là del loro significato, se confrontato col concreto momento della vita e della storia che stiamo vivendo?” (da “Empirismo eretico” di Pier Paolo Pasolini).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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