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Attualità

I preti.

di Vitaliano Trevisan (1960-2022).

“I preti del resto, pensavo, distruggono sempre tutto. I preti ci distruggono tutto fin da quando siamo bambini, ci rovinano l’esistenza e non si fanno nessuno scrupolo di rovinarcela appena nati.

Non passano che pochi giorni dalla nostra nascita, pensavo camminando, e già subiamo il trauma cattolico dell’acqua sulla testa.

Poi magari, proprio come è successo a me, veniamo mandati, senza tenere in alcun conto il fatto che mai e poi mai, noi, di nostra volontà spontanea, andremmo in un posto del genere, veniamo mandati, dicevo, in un asilo di suore cattoliche.

E queste suore cattoliche sono autorizzate, in qualità di suore cattoliche, a torturarci cattolicamente e a lavarci il cervello nella loro lavanderia cristiano-cattolica. Se poi, come è successo a mio fratello e a me, si frequenta questo asilo-lavanderia-cristiano-cattolico per due o tre anni di seguito, allora, pensavo, per il resto della nostra vita saremo costretti a fare i conti con un’esperienza che resterà impressa in modo indelebile nel nostro corpo e nel nostro cervello, un’esperienza con la quale sempre e di continuo ci vedremo costretti a fare i conti e dalla quale il nostro sistema nervoso dovrà in continuazione guardarsi.

Se si è costretti a subire la personalità perversa di una madre superiora interamente dedita, anima e corpo, al proprio personale processo di beatificazione, se si è posti sotto il tallone di un essere simile, cosí come era effettivamente capitato a mio fratello e a me, se a causa del proprio stato di bambini si è costretti, dicevo, pur con le piú buone intenzioni, alla mercé di uno di questi esseri umani votati alla santità, cosí come se ne trovano in ogni angolo del mondo, pericolosissimi nelle loro vesti di agnelli pronti al sacrificio, impregnati di misticismo e di devozione, si chiamino essi Raul Follerau o Madre Teresa di Calcutta, sempre disposti, in nome della propria purezza bontà abnegazione empatia senso del dovere vocazione assoluta amore verso il cosiddetto prossimo e in definitiva in nome della propria santità, sempre pronti, dicevo, anzi prontissimi al sacrificio di se stessi e del prossimo, o di se stessi attraverso il prossimo, a qualsiasi costo determinati a sacrificare al cosiddetto amore verso il prossimo anche la loro vita, cosí come dicono o fanno intendere in ogni momento… se si è costretti tutti i pomeriggi, nell’immediato pomeriggio, non appena terminato un pasto assolutamente schifoso, ad ammassarsi nel grande stanzone al seminterrato, per essere poi costretti a sedersi, in due file viso contro viso, separati da una fila centrale di banchi di formica, su una lunga e scomoda serie di panche di legno e, dopo avere appoggiato la testa, piegata da un lato, destro o sinistro non aveva importanza, sulle braccia conserte sopra il banco, si è obbligati a dormire, o comunque a stare assolutamente immobili con gli occhi chiusi per piú di un’ora, tutto sotto la minaccia di uno strofinaccio bagnato che lei, la madre superiora, teneva nella mano destra, disteso, prontissima ad attorcigliarlo e a sbatterlo con forza sul banco del disgraziato che per sbaglio si era mosso… se la stessa madre superiora ti racconta la storia di Santa Lucia, pensavo, e si sofferma sul martirio di Santa Lucia, e con dovizia di particolari ti racconta di come le sono stati strappati gli occhi… se poi, congliendoti di sorpresa, proprio come successe a mio fratello e a me e anche, questo devo proprio dirlo, a tutti i disgraziati che all’epoca andavano all’asilo delle suore, se poi, dicevo, senza alcun preavviso la madre superiora fa entrare in aula una sua complice, vestita completamente di nero, con un velo nero a trama finissima che le copre intera la testa, con nelle mani un vassoio di peltro coperto con un drappo nero, e dice alla sua complice, da lei apostrofata come Santa Lucia, di avvicinarsi e di mostrare cosa ha portato, e all’improvviso, con uno scatto della mano, toglie il drappo nero e ti fa vedere dei veri occhi già strappati, poggiati sul vassoio di peltro…

Erano occhi di coniglio, mi dissero poi.

Ma in quel momento io, e ancor piú di me mio fratello, noi eravamo convinti che fossero occhi umani.

Fissammo quegli occhi umani senza dire una parola, mio fratello e io, per molti minuti di seguito senza dire una sola parola, ricordo.

Solo dopo alcuni minuti, trascorsi in immobile silenzio, riuscii a staccare gli occhi da quegli occhi staccati.

Mio fratello, ricordo ora, seduto sul gradino della veranda, staccò gli occhi molto dopo di me.

Sí, pensavo camminando, se siamo stati costretti a subire tutto questo e altro ancora, nel periodo di massima impressionabilità della nostra esistenza, allora, pensavo, non abbiamo scampo: tutto ciò che abbiamo subito ci accompagnerà poi per quanto vivremo, insepolto a maggiore o minore profondità, un granuloma nel cervello, un’infezione circoscritta ma sempre ben presente e pronta a scatenarsi, non appena abbassiamo la guardia, nei modi e nei luoghi piú impensati, nel corpo o nella mente, ma quasi sempre nel corpo e nella mente, approfittando senza pietà di ogni piú piccola debolezza del corpo e della mente e di ogni possibile circostanza esterna.” (da “I quindicimila passi: Un resoconto (Einaudi. Stile libero)” di Vitaliano Trevisan) Inizia a leggere: https://leggi.amazon.it/kp/kshare?asin=B00SAEFI6E&id=szbq66wzkjdsnfjlpue7rk4mnu ————

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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