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Quel giorno soffiava un vento del sud forte, bruciante, dalle coste sabbiose dell’Africa

“Nubi di sabbia fina vorticavano nel vento, entrando nella gola e nelle viscere dell’uomo. Stridevano i denti, bruciavano gli occhi, dovevi sprangare porte e finestre se volevi mangiare un pezzo di pane senza che si imbrattasse di sabbia.

Faceva un caldo soffocante. In quei giorni opprimenti, quando gli alberi si gonfiavano di linfa, ero preda anch’io del malessere primaverile.

Una spossatezza, un turbamento nel petto, un formicolío in tutto il corpo, un desiderio ardente – desiderio o ricordo? – di una diversa, semplice, grande felicità.

La stessa voluttà, lo stesso dolore, in quei giorni in cui gli alberi si gonfiavano di linfa, avranno certo provato anche i bruchi nei loro bozzoli sentendo spuntare sul dorso come ferite le due ali.

Imboccai il sentiero petroso del monte. Volevo camminare per tre ore fino alla cittadina minoica ch’era risorta dal sottosuolo dopo tre o quattromila anni e si riscaldava al sole amato di Creta.

Camminando, pensavo, mi sarei stancato e sgravato della mestizia primaverile. Pietre grigie, ardesie, una nudità luminosa, i monti come piacciono a me, senza verzure affabili e romantiche.

Una civetta, accecata dalla luce abbagliante, con gli occhi gialli rotondi, stava appollaiata su un sasso, seria, graziosa, piena di mistero.

Camminavo a passi leggeri perché non mi sentisse; ma aveva l’udito finissimo, si spaventò, e con un frullo sordo spiccò il volo tra i sassi e scomparve.

Il vento sentiva di timo; sugli inchiodacristi erano già spuntati i primi teneri fiori gialli. Quando giunsi alle rovine della cittadina rimasi sorpreso.

Era verso mezzogiorno, la luce cadeva verticale e soffocava le pietre in rovina. Quest’ora del giorno, nelle vecchie città morte, è pericolosa.

Il vento è pieno di voci e di spiriti. Bastano il cigolío di un ramo, il fruscío di una lucertola, una nube passeggera che proietti la sua ombra, e ti coglie il panico; ogni palmo di terra che calpesti è un sepolcro – e i morti gridano.

A poco a poco, nella profusione di luce, l’occhio si abituava.” (da “Zorba il greco” di Nikos Kazantzakis).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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