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“Storia dell’arte, storia degli uomini, storia delle idee: nelle pagine di ‘Mecenati e pittori’ queste e altre storie si intrecciano, formando una fittissima rete di connessioni grazie alla quale dipinti, sculture, architetture riacquistano i loro significati.” (Tomaso Montanari).

“Tra il 1623 e il 1797 il declino politico di Roma e Venezia, i due centri più vitali dell’arte barocca in Italia, fu pressoché continuo.

Gian Lorenza Bernini, Il ratto di Proserpina, 1621, Galleria Borghese, Roma

In entrambe le città i detentori del potere – a Roma i sempre diversi sostenitori dell’assolutismo teocratico, a Venezia le famiglie vecchie e nuove che componevano una rigida oligarchia aristocratica – impiegavano gli architetti, scultori e pittori di maggior fama per infondere in sé e negli stranieri l’illusione di un potere che nella realtà aveva ben scarse basi.

Giambattista Tiepolo – Venezia riceve l’omaggio di Nettuno – 1745-50, Sala delle Quattro Porte, Palazzo Ducale, Venezia.

Le realizzazioni di Bernini, di Pietro da Cortona, di Tiepolo restano ad attestare con quanta convinzione e genialità i grandi artisti possano servire i grandi mecenati per quanto la loro causa sia poco promettente.

Pietro da Cortona, “L’età del bronzo”, 1641, Sala della Stufa,

Palazzo Pitti, Firenze.

E neppure si può negare (sebbene molto abbiano cercato di farlo) che questi risultati, e altri di natura analoga, rappresentino il più alto contributo italiano all’arte del periodo.

Il significato di tutto ciò diventa chiaro se si paragona la situazione con quella degli artisti stranieri.

Non esistono gli equivalenti italiani di Velásquez, Rembrandt, Vermeer, Louis La Nain, George de la Tour, Poussin, Watteau, o Chardin, tutti pittori che espressero una visione privata e personale lontanissima dai capolavori ‘pubblici’ dei più grandi italiani.

[…]

Se è vero che in Italia manca un cero di tipo di artista introverso e solitario (Domenico Betti costituisce forse la più bella eccezione), è anche vero che il livello medio della pittura a Roma, Bologna, Napoli, Venezia, per nominare solo alcuni dei centri più importanti, era certamente più alto che in qualsiasi altra città europea.

Domenico Fetti, “Melancholy”, olio su tela, 1620,

Collezione Museo del Louvre.

[…]

Tuttavia il prezzo da pagare fu alto. Gli artisti legati com’erano al mecenatismo di una particolare società, non riuscirono ad adattarsi alle nuove condizioni quando le basi su cui si reggevano crollarono.

La pittura ‘borghese’, tipica dell’Inghilterra e della Francia, in Italia non aveva vere radici, e i tentativi fatti da istituzioni come l’Accademia di Parma per promuovere un tipo d’arte più moderno e ‘illuminato’ ebbero scarso successo.

Mentre in Francia e in Inghilterra la pittura prese nuovo e più glorioso slancio con il declino della Chiesa e dell’aristocrazia feudale, la caduta di Venezia significò anche l’umiliante fine dell’arte italiana”. (“Mecenati e pittori, l’arte e la società nell’epoca barocca”, Francis Haskell, Einaudi.)

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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