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È scoppiato il bubbone.

Hanno tenuto sottotono il problema per tutta la campagna elettorale, tentando di aggirarlo con promesse, finti disegni di legge, acrobatici distinguo, ossessivo protagonismo sui media. 

Ma la guerra c’è. Sembra in sordina a Gaza, ma i palestinesi continuano a morire, ogni giorno, a decine. Il nostro governo, la nostra diplomazia è stata a guardare. L’Unione europea non ha mossi un dito per fermare la mattanza. 

La guerra c’è, nelle ultime ore le minacce nucleari sono sempre più pressanti. Si gioca con i sofismi, come quando sentiamo dire che attaccare la Russia nei suoi confini con le armi che l’occidente ha dato a Zelensky non significa attaccare Mosca. E sentiamo Mosca rispondere: guai a voi se ci provate. 

Le celebrazioni per l’ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia hanno capovolto il paradigma della retorica: da “mai più guerre” a “facciamole ancora”. Piegare la storia alle campagne elettorali nella Ue e negli Usa è il salto mortale con doppio avvitamento della memoria storica. “Kiev la nostra Normandia” svela la volontà bellicista, è una dichiarazione di guerra.

Con la demagogia non si sconfigge il populismo, lo si alimenta.

Le opinioni pubbliche non vogliono la guerra. La domanda è semplice: perché la Ue non ha utilizzato la diplomazia per arrivare alla fine dei combattimenti in Ucraina?  La risposta è devastante: perché i governi sono succubi della politica USA. 

Ogni giorno è sempre più chiaro che la Ue non ha una politica estera autonoma dagli USA.

 E allora ecco che è scoppiato il bubbone: l’astensione come rigetto del trapianto di politiche belliciste della NATO nelle nostre democrazie.  

Tale è il panico delle ultime ore che si inventa che l’astensionismo sia un complotto ordito dal Cremlino, ma non ci crede neanche chi lo scrive sui quotidiani, chi lo dice in tv, chi lo strombazza nei comizi finali. 

Nelle ultime ore di campagna elettorale l’astensione dal voto si teme come la peste, ora non più solo nel centrosinistra, ma anche dai partiti di governo.  Meloni sente che potrebbe andare sotto la percentuale che ebbe alle ultime politiche. 

L’astensionismo è diventato un dato di fatto, che supera gli stessi ragionamenti alchemici su ciò che bisognerebbe fare per non favorire l’avversario. Che supera l’idea stessa di un voto di testimonianza pacifista.

Ci sono seri indizi che fanno pensare a un risultato al disotto della soglia del 50% degli elettori. 

Per l’Italia, tra i paesi fondatori, sarebbe la prova provata del fallimento del governo. 

Nessuno se la potrà cavare, né a destra-destra né a centrosinistra, dando la colpa al disinteresse dell’elettorato. 

Né si potranno fare arzigogoli di bassa sociologia su generiche autocritiche circa la comunicazione. 

Il problema è tutto politico, riguarda l’epidemia neoliberista che ha infettato la democrazia. Si è infatti diffusa la percezione generalizzata di insicurezza, di diffidenza e sfiducia, generate dalla sistematica violazione del patto sociale su cui si è retta la nostra democrazia, i cui fondamentali erano stati sanciti dalla Costituzione. 

Si è cominciato col distruggere il diritto al lavoro, come strumento per un reddito dignitoso. Poi è stata la volta dello stato sociale, i cui pilastri – Sanità, Istruzione e Previdenza – sono stati via via indeboliti per diventare preda di privatizzazioni senza controllo pubblico. 

Ora un altro caposaldo del patto sociale, cioè il diritto alla pace tra i popoli viene tradito. Questo è troppo. È scoppiato il bubbone.

L’astensione bussa forte, suona come la giusta punizione.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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