“E non circondarsi mai mai di persone adoranti che dicono sempre di sí; al contrario: tagliare immediatamente, senza esitazioni né pietà, per se stessi e per gli altri, le relazioni, di lavoro e non, che sembrano prendere questa piega.
Se non lo si fa è l’inizio della fine, che può anche essere lunga e piacevole, per carità; ma l’idea di trasformarmi in un X, o, tanto per far nomi, in un Meneghello, o in uno Zanzotto, o, tanto per farne di qualcuno ancora in vita, in un Magris – che tra l’altro ha addirittura un tavolo perennemente riservato, in un noto caffè di Trieste, e sul tavolo un cartellino con il suo nome scritto sopra, e al tavolo una sedia che non avrà altro culo all’infuori del suo, o di quello della sua prossima statua, presumibilmente in bronzo, come quella di Joyce, che, sempre a Trieste, occupa un posto in platea al teatro Miela, cosa che un po’ mi infastidisce, ma perdio: si tratta pur sempre di Joyce!
Essere imbalsamato in vita mi spaventa piú di ogni possibile vantaggio.
L’idea di dare addirittura una mano alla propria imbalsamazione da vivi mi inorridisce.
E lo stesso magari, quando sarò vecchio – che lo diventi non è certo, ma, fin che sono in vita, è pur sempre possibile, se si presenterà l’occasione finirò per cedere.
C’è chi non l’ha fatto. Prendere sempre esempio da questi ultimi.” (da “Works: Edizione ampliata (Einaudi. Stile libero big)” di Vitaliano Trevisan)