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Quella volta che Moshe Dayan, all’epoca capo di stato maggiore dell’Esercito di Israele, pronunciò la commemorazione di un giovane membro di un kibbutz.

“Il 29 aprile 1956, un gruppo di palestinesi di Gaza attraversò il confine per saccheggiare i raccolti nei campi del kibbutz di Nahal Oz.

Roi, un giovane membro del kibbutz, che sorvegliava i campi, galoppò verso di loro agitando un bastone per cacciarli via; catturato dai palestinesi, fu condotto nella striscia di Gaza, e quando le Nazioni Unite ne restituirono il cadavere, si vide che gli occhi del ragazzo erano stati cavati.

Il giorno dopo, alla cerimonia funebre, Moshe Dayan, all’epoca capo di stato maggiore, ne pronunciò la commemorazione, dicendo:

«Non dobbiamo biasimare gli assassini. Che pretese abbiamo sull’odio mortale che provano per noi? Da otto anni vivono nei campi profughi di Gaza mentre, davanti ai loro occhi, trasformiamo la terra e i villaggi in cui sono vissuti, e prima di loro i loro antenati, in un nostro retaggio. […]

Non è tra gli arabi di Gaza ma tra di noi che va cercato il sangue di Roi. Come abbiamo potuto chiudere gli occhi, rifiutarci di guardare in faccia il nostro destino e di comprendere le sorti della nostra generazione in tutta la loro violenza?

Abbiamo dimenticato che questo gruppo di giovani, che vive a Nahal Oz, porta sulle spalle il fardello delle porte di Gaza?»

Una dichiarazione del genere sarebbe mai concepibile oggi?” (da “Ucraina, Palestina e altri guai” di Slavoj Žižek).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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