“Tanto per dirne una, è normale che un prefetto ricopra l’incarico di ministro dell’Interno?
La risposta è no. In una democrazia compiuta non è affatto normale.
Il prefetto rappresenta il governo centrale in un determinato territorio, dove sovrintende anche all’ordine pubblico, ed è alle dipendenze dirette del ministro dell’Interno.
Il quale lo nomina, ne decide la destinazione nonché il ruolo, e ne determina la carriera.
Non è un caso che i pochi prefetti ministri dell’Interno siano stati destinati a quel delicatissimo incarico da governi tecnici.
Il primo prefetto nominato al vertice del Viminale da un governo politico a tutto tondo è Matteo Piantedosi.
L’uomo che definisce «carico che ne dovesse residuare» gli esseri umani migranti cui è vietato sbarcare in un porto italiano e devono essere rispediti dall’altra parte del Mediterraneo.
E che per ciò che si è appena detto vive una situazione di conclamato conflitto d’interessi.
A testata multipla, per giunta.
Pure sua moglie Paola Berardino infatti è prefetto: nominata dall’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, a sua volta prefetto, che un anno prima aveva anche nominato Piantedosi, capo di gabinetto del Viminale e suo futuro successore, prefetto di Roma.
Per questo incarico che riveste a Grosseto la funzionaria pubblica Paola Berardino oggi risponde al marito ministro. Inconcepibile.” (da “Io so’ io: Come i politici sono tornati a essere intoccabili” di Sergio Rizzo)