A Gabriele Qualizza (1962-2022)
che ha dato un importante
contributo a questo libro,
ma un malore improvviso
gli ha impedito per sempre
di vederne la stampa.
Un saggio che sembra un romanzo di formazione.
Estinti Saluti (Fausto Lupetti Editore, 2022) che è in uscita in questi giorni, è stato definito un saggio che sembra un romanzo di formazione. Perché questa doppia lettura?
Publio Advertito Crea, l’autore – che è in realtà lo pseudonimo, un nome collettivo di ben 66 autori -, ha raccolto e organizzato le testimonianze di creativi pubblicitari italiani degli ultimi trent’anni, e, come in una ricerca antropologica, raccontano in presa diretta episodi salienti della loro esperienza professionale.
Un’antropologia della coesione creativa, che ha resistito fino alla fine alla mutazione del conformismo, che anzi il conformismo ha cercato di prenderlo in giro, come attitudine a non piegarsi all’antropologia dell’omologazione, come l’avrebbe definita Pasolini.
Dunque, la prima lettura è un gustoso romanzo di formazione, fatto di tante storie, spesso molto divertenti, ma anche emblematiche e sorprendenti, che restituiscono il clima, le pulsioni, il vissuto di più generazioni professionali impegnate nella comunicazione commerciale.
Ed è così che vengono fuori cose interessanti: non solo il rapporto con i committenti dei diversi settori commerciali, il cliente, ma il robusto contatto con la realtà politica, economica e sociale del paese, le antenne sempre pronte a cogliere i significati e i significanti che attraversano la società e la cultura di massa, come se i creativi fossero veri e propri sensori che sanno individuare con utile anticipo il nuovo che si muove nei modi di pensare, di dire, di vedere le cose.
E poi, la grande curiosità nel ficcare il naso ovunque vi sia qualcosa che possa alimentare un’intuizione e poi far nascere un’idea che partorisca una campagna.
Ma eccoci già nel secondo libro, cioè nel saggio. Grazie alla prefazione di Gabriele Qualizza, che è stato docente di Sociologia dei media all’Università di Udine, si entra nello specifico delle teorie e delle pratiche della comunicazione moderna, su cui questo volume ha molto da dire.
Il rapporto conflittuale tra la cultura creativa e le logiche dell’azienda viene da lontano, riguarda il linguaggio, cioè la forma e la sostanza della comunicazione.
“Televisione e giornali sono stati i primi a registrare questo cambiamento epocale per il quale ‘centri creatori, elaboratori e unificatori di linguaggio, non sono più le università, ma le aziende”, scrive Francesco Virga, citando Pier Paolo Pasolini (“Eredità dissipate, Gramsci-Pasolini-Sciascia”, Diogene Multimedia 2022).
Perché la questione dell’efficacia del messaggio è sempre quella domanda basica che si faceva Henry Ford: è più efficace la creatività o i mezzi su cui viene veicolata verso il consumatore?
Questo dubbio amletico ha sempre attanagliato gli investitori pubblicitari, fin dai tempi in cui la pubblicità era solo sulla stampa, per poi arrivare alla cartellonistica, alla radio e soprattutto alla televisione e, attualmente, sul web. Ovviamente la realtà di oggi non è più quella di Henry Ford.
“Come Ford aveva attinto al nuovo consumo di massa, Apple è stata tra le prime aziende a raggiungere il successo commerciale intercettando la domanda di una forma di consumo individuale proveniente da una nuova società di individui. Un’inversione resa possibile dall’avvento dell’era digitale, che ha fornito gli strumenti per spostare l’obiettivo dal consumo di massa al consumo individuale, liberando e riconfigurando attività e beni del capitalismo”, ci ammonisce Shoshana Zuboff (“Il capitalismo della sorveglianza”, LUISS 2019).
Tuttavia, la domanda che genera il dubbio è questa: bisogna investire in buone idee o concentrarsi in tanti mezzi di comunicazione di massa? Ovviamente, il punto di vista dei creativi è intuibile: il moltiplicatore della reputazione di una marca, da cui deriva il successo dei suoi prodotti, è nella qualità delle idee. Diceva Emanuele Pirella (1940-2010) che una marca deve essere scelta per “simpatia, per amicizia, per stima”.
Ecco che è ancora il Vincenzo Virga di Eredità dissipate che sottolinea che “Pasolini sa che nel linguaggio della pubblicità ‘il principio omologatore e direi creatore è la tecnologia’.” (Ibidem).
In realtà, come Howard Gossage (1917-1969) ci ricordava “La gente non legge la pubblicità, legge solo quello che le interessa. A volte si tratta di un annuncio pubblicitario”. E la cosa, obbiettivamente, vale anche oggi, ce lo dice Cathy O’Neil (“Armi di distruzione matematica”, Bompiani, 2017) quando ci fa presente che tutto sommato anche gli algoritmi sono creazioni di uomini e donne che lavorano per le Big Tech, e che sono fallibili, perché soggetti al comando dell’azienda.
Il che conferma la teoria di Luciano Floridi (“Etica dell’intelligenza artificiale”, Raffaele Cortina Editore, 2022), secondo cui il digitale e l’analogico convivono nell’Infosfera. Vale a dire che scrittura, fotografia e video, sono attività analogiche che convivono con la matematica del sistema binario, che è il linguaggio del digitale. Insomma, affidarsi mani e piedi agli algoritmi, ai motori di ricerca, all’intelligenza artificiale per fare buona pubblicità è come affidarsi semplicemente a un aeroplano per fare un bel viaggio: se non decidi la meta non sarà mai un vero viaggio.
Fatto sta che così come per un annuncio su un quotidiano, un’affissione per strada, o un filmato pubblicitario in tv, nessuno legge un post se questo non ha la capacità di attirare l’attenzione, cioè di emergere prepotentemente da quell’oceano in tempesta che è la comunicazione odierna.
Se poi da quella prima attenzione rimane qualcosa, allora nasce un fatto concreto, per esempio una manifestazione d’interesse attraverso un like, la richiesta di informazioni e magari anche un acquisto, vuol dire che in quell’attenzione c’era qualcosa di buono, cioè c’era una buona idea.
Dunque, se dai tempi dei primi esempi di pubblicità sui giornali inglesi, fino all’universo dei social dell’era digitale, i media hanno condizionato le idee, il successo della pubblicità sta nel fatto che le idee hanno saputo condizionare i media.
Estinti Saluti attraversa questa dialettica tra le idee e i mezzi che le veicolano. Il passaggio dalla pubblicità sulla carta stampata all’era dello spot televisivo avvenne all’interno delle agenzie di pubblicità sotto forma di formazione e autoformazione professionale intergenerazionale.
Con l’era digitale, questa dialettica s’è interrotta con una velocità centrifuga imposta dall’avvento del digitale, che ha messo ai margini gran parte del bagaglio professionale di un mestiere che, tutto sommato, non s’insegna, si può solo imparare, perché ha in sé una forte componente artigianale.
Ed ecco, allora, la funzione di questo libro: riallacciare il dialogo tra generazioni professionali, perché alla destrezza con cui le nuove generazioni di creativi maneggiano la tecnologia cibernetica sappiano aggiungere buone idee, grazie a metodi ed esperienze, attingendo alla ricca storia collettiva dell’advertising.
Estinti Saluti è un libro nato come fosse una campagna pubblicitaria di quelle belle, da un’intuizione di Lele Panzeri, cui hanno lavorato sodo Ambrogio Borsani, Till Neuburg e il sottoscritto, un libro su cui Fausto Lupetti ha creduto, cioè ha fatto l’editore come si facevano gli editori che hanno contribuito alla diffusione della cultura nel nostro paese.
Estinti Saluti è un libro pieno di storie vivide e di spunti di riflessione, è serio e allegro, è avvincente e istruttivo, tanto piacevole quanto importante, proprio come un saggio che sembra un romanzo di formazione.