Il più grande contributo all’invasione russa lo ha dato e lo sta dando il sistema dei media. Teorie strampalate, racconti di mediocre epica, sceneggiature di avvenimenti mai accaduti. E poi anatemi, ostracismi, scomuniche, maldicenze.
Il giornalismo italiano – in barba alla crisi dell’editoria – ha tirato fuori un repertorio di panzane, fake, servilismo che non si vedeva fin dai tempi delle sciagurate avventure coloniali, per non dire della nefasta stagione interventista che produsse la partecipazione italiana a quell’immane carneficina che fu la prima guerra mondiale, per diventare poi la levatrice del fascismo.
Però c’è un aspetto della guerra che è inedito, come fosse una gigantesca operazione di marketing che fa dei morti, delle bombe, delle macerie e dei rifugiati non l’oggetto dell’informazione; non la ricerca dei perché; neppure l’esercizio dell’indipendenza dei giudizi dalla politica governativa, ma trasforma i protagonisti in testimonial di una campagna retail su gas e petrolio.
Le stesse apparizioni del capo del governo del paese invaso sono vere e proprie telepromozioni. La propaganda e la manipolazione sono da sempre un’arma tattica. In questo caso però sono strategiche.
Con tanto di “demo”, come fosse la famosa “prova finestra” di un famoso detersivo: la guerra è uno spot in cui “test clinici” dimostrano chiaramente che noi vogliamo un gas democratico, liberale e liberista e dal prezzo liberalizzato, secondo una più vasta strategia di comunicazione integrata la cui mission è far entrare il consumatore nel mondo della marca: il mondo occidentale.
Una grande campagna compatariva globale, più forte e incisiva di quella Coca Cola vs Pepsico degli anni Ottanta. Più profonda di Apple che ci invitava a comprare iMac e non Ibm, con quell’affascinante “Think different”.Oggi “pensare differentemente” è diventato pericoloso, è “filo” qualcosa di brutto.
Siamo alla contrapposizione fittizia, il posizionamento in comunicazione che vuole la comparazione vincente di Usa&Ue vs Cina&Russia.
E così mentre le bombe sono ipersoniche, la creatività pubblicitaria bellicista è supersonica.
Coinvolge attivamente giornali, siti, social e tv, un piano media di proporzioni gigantesche. Dietro il quale si cerca di nascondere le incertezze e a volte il panico dei partiti al governo dei paesi Eu.
La ripresa economica post pandemica è stata sbranata dai denti aguzzi dell’inflazione. E così anche i consensi elettorali si riducono in brandelli.
Contemporaneamente, la transizione ecologica prevista dal New generation Eu è stata la preda su cui si sono avventate, come iene fameliche, compagnie energetiche, facendo schizzare prezzi e mietere grassi profitti, prima ancora che Putin accendesse i motori dei carri armati.
La gente è morta di pandemia, mentre i Big Pharma riempivano le tasche. Ora, mentre si muore in Ucraina, – ma non solo – , il turno è del business delle armi e dell’energia. Ma già siamo in fila per la crisi energetica che, dopo quella pandemica, si appresta a fare strage di redditi, salari, risparmi.
Per nascondere le imminenti conseguenze sociali della morsa in cui inflazione e aumento della bolletta energetica, – morsa che ogni giorno che passa stritola i redditi più bassi -, questa è una guerra provvidenziale.
È comoda a Putin e al nazionalismo russo e panrusso; all’ossessione di potenza mondiale di Biden; alla mediocrità codina della Ue; alle sornioni, ma implacabili mire imperialiste cinesi.
È comoda al governo Draghi che può imputare alla Russia il fallimento del nostrano Pnrr.
Fino a ieri la comunicazione ci imponeva di “pensare globale”.
Da oggi, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto la più gigantesca campagna pubblicitaria di tutti i tempi vorrebbe costringerci a “pensare occidentale”, come fosse la soddisfazione di nuovo bisogno primario dei consumatori, di un nuovo mercato euro-americano con propaggini nel G7, un nuovo design per produzione e consumi, creato da una nuova alleanza commerciale, con un packaging tutto nuovo per il capitalismo finanziario.