Scapitalismo italiano.
di Marco Ferri
“Quest’Italia, tanto favorita dalla natura,
è rimasta enormemente indietro rispetto
agli altri paesi per tutto quello ch’è
meccanica e tecnica, sulle quali
senza dubbio si fonda ogni progresso
verso un’esistenza più comoda e più sciolta.”
(“Viaggio in Italia”, Johann W. Goethe.)
Così scrivono Eugenio Scalfari e Peppino Turani in “Razza padrona – storia della borghesia di stato, [nel quinto capitolo, intitolato “Il saccheggio”, Feltrinelli Editore, 1974, pagina 353]: “Il saccheggio è stato certamente uno degli impegni prevalenti della Montedison a partire dal 1971. [anno dell’avvento di Cefis alla presidenza]. A subire il suo assalto sono stati in tanti: i lavoratori, i consumatori, il Mezzogiorno, certi enti pubblici, certi enti a partecipazione statale, gli azionisti, i risparmiatori, il sistema industriale italiano e persino alcune regole della buona contabilità aziendale.”
Basterebbe mettere Alitalia al posto di Montedison per avere un’esatta fotocopia della storia di Alitalia, dei suoi azionisti, dei lavoratori, dei passeggeri, dei profitti privati e dei debiti pubblici accumulati negli anni. Un esempio di scuola dello “scapitalismo italiano”.
La tesi degli autori di “Razza padrona” era caldeggiare una convergenza di vertice tra il Pci e le grosse famiglie imprenditoriali italiane, insomma la famosa formula “dell’alleanza dei ceti produttivi contro i ceti parassitari.”
La tesi sostenuta da Fabrizio Tomaselli in questo avvincente racconto in presa diretta la troviamo nelle conclusioni: “Si deve indicare la strada giusta, quella che porta alla costruzione di una compagnia aerea inserita in un sistema paese che la consideri, insieme all’intero trasporto aereo nazionale, un fattore di sviluppo e non un costo, un asset industriale che contribuisca a creare occupazione e ricchezza per l’intero paese.”
Ed ecco il punto. La privatizzazione di Alitalia, nell’ambito della grande strategia di dismissione dei beni pubblici, non ha creato valore per il paese, come era nelle premesse delle grandi privatizzazioni, propugnate dagli epigoni di Milton Friedman e delle teorie neoliberiste, che sono rapidamente dilagate nel capitalismo globale, fino a far ingresso nei partiti di sinistra.
La privatizzazione ha gonfiato gli stipendi dei manager che si sono avvicendati al banchetto degli investimenti per ripianare i debiti privati con il denaro pubblico.
Nel frattempo l’ha indebolita, fino a renderla incapace di reagire alla concorrenza interna e internazionale; ha alimentato, in certi momenti foraggiato la filiera della clientela politica; ha trasformato le grandi organizzazioni sindacali in soggetti “embended” alle strategie aziendali fine a se stesse, cioè alle cordate che si sono avvicendate; ha fatto male alla professionalità dei dipendenti, primi fra tutti dei naviganti, e di conseguenza all’occupazione.
Parafrasando lo schema di “Razza padrona”, che però andrebbe capovolto, Alitalia era più produttiva prima che finisse nelle mani e nelle fauci di ceti parassitari, travestiti da “capitani coraggiosi”.
Nelle pagine che scorrerete come fosse un thriller, – nel quale il serial killer è il capitalismo italiano, e i suoi complici sono stati governi, partiti e vertici dei sindacati confederali – Tomaselli ci racconta di un investigatore collettivo, che ha scoperto volta per volta i colpevoli, li ha smascherati, denunciati, con il candore e il coraggio di chi sapeva di verità che nessuno voleva ascoltare.
L’investigatore collettivo è il protagonista di questa puntigliosa, dettagliata fino alla pignoleria, narrazione di quarant’anni di lotte dei lavoratori del trasporto aereo. Giovani donne e uomini che, sfuggendo a ogni previsione sociologica, sono diventati soggetti attivi non solo delle vertenze sindacali, ma di una visione complessiva delle contraddizioni provocate dalle sconsiderate gestioni padronali.
Scrive Tomaselli che questo libro è: “Una cronistoria, un diario di viaggio, passaggi importanti che si snodano dai primi anni ’80 a oggi, esperienze personali e collettive, fasi drammatiche della vita di decine di migliaia di lavoratori, vittorie e sconfitte, senza mai dimenticare il contesto generale nel quale si sviluppano questi eventi.”
Aggiunge Massimo Giuli, assistente di volo, tra i primi protagonisti dell’organizzazione sindacale di base tra il personale Alitalia, che firma un intervento introduttivo: “Attraverso le lotte autonome e fortemente antagoniste che li videro protagonisti, [i lavoratori] seppero ripristinare un corretto esercizio della democrazia sindacale, darsi nuovi modelli organizzativi indipendenti dal mondo confederale attraverso i quali riproporre con forza i propri obiettivi e delineando i principi costitutivi all’origine del sindacalismo di base dei primi anni ’80.”
Dunque, questo è un libro su una storia i cui capitoli sono ancora da scrivere, come dimostrano gli avvenimenti che tutt’ora l’attualità politica e sindacale ci propone. D’altronde, come Antonio Labriola ci avvertirebbe “Il tempo storico non è corso uniforme per tutti gli uomini. Il semplice succedersi delle generazioni non fu mai l’indice della costanza e dell’intensità del processo.”
Infatti, scrive Tomaselli: “Esperienze che forse potrebbero servire a chi vuole approfondire lo studio del trasporto aereo e di Alitalia ed anche a chi oggi ha deciso di impegnarsi nel sindacato. Un insieme di riflessioni personali e collettive, di lotte, di contraddizioni, di vittorie e di sconfitte, di strategie vincenti e di errori, che potrebbero forse essere utili.”
Fabrizio Tomaselli è stato un assistente di volo e un sindacalista di base, “ho sempre rifiutato l’etichetta di “sindacalista”: preferivo dire “faccio sindacato” per distinguermi da chi invece vive questo impegno come una professione ed utilizza il sindacato per scopi estranei dall’interesse di chi lavora.”
In effetti, l’organizzazione sindacale, le battaglie sui diritti dei lavoratori hanno fatto non solo crescere cultura politica e consapevolezza sociale di almeno tre generazioni di lavoratori del trasporto aereo italiano, ma hanno cambiato la percezione del loro lavoro e della loro dignità presso l’opinione pubblica.
Non è stato facile. “..in categoria divennero storiche le parole di Umberto Nordio [dirigente IRI, in Alitalia dal 1972 al 1988] che riportiamo da Panorama del 3 aprile [1979]: -Ma cosa volete trattare. Questi sono camerieri, è una categoria indifendibile. E poi gli steward fanno traffici strani, e le hostess anche di peggio -… Insomma, gli steward sono contrabbandieri e le hostess mignotte” chiosa Fabrizio Tomaselli.
Boiate dei boiardi di Stato. Pensate se oggi sarebbe possibile che un alto dirigente si esprimesse in questo modo sprezzante nei confronti del personale della propria azienda. Sarebbe un tale danno d’immagine verso la clientela che gli azionisti lo prenderebbero a pedate nel didietro. Ma questo è stato il clima, favorito dalla stampa compiacente, in cui hanno mosso i primi passi le rivendicazioni dei dipendenti di Alitalia.
Scrive Massimo Giuli: “Gli assistenti di volo sono stati parte integrante della nuova composizione sociale che veniva costituendosi nel settore terziario dell’economia, nei trasporti e in modo particolare nel trasporto aereo. Una composizione sociale contigua ma, al tempo stesso, lontana dalle modalità e dai percorsi in cui si esprimevano le tematiche rivendicative del movimento dei lavoratori organizzato della democrazia sindacale, darsi nuovi modelli organizzativi indipendenti dal mondo confederale attraverso i quali riproporre con forza i propri obiettivi e delineando i principi costitutivi all’origine del sindacalismo di base dei primi anni ’80.”
Il che spiega, certamente non giustifica, il livore della dirigenza contro i lavoratori più attivi e coscienti, sicuramente dotati di una capacità d’analisi nettamente superiore al livello espresso dalla classe dirigente d’azienda, spesso arruolata tra raccomandati di questo o quel politico, che così contraccambiava il consenso elettorale.
Anche perché si è tentato di tutto pur di non ascoltare le istanze dei lavoratori organizzati, che se prese in considerazione non avrebbero permesso lo scempio di denaro, lo spreco di strategie e politiche industriali che la lunga vicenda Alitalia sta lì a rappresentare, come un dito accusatore contro il capitalismo italiano, la sua miopia, ingordigia, malaffare e inettitudine, tutti quei difetti cronici pagati dai lavoratori, le loro famiglie e dal paese tutto.
Fabrizio Tomaselli ha fatto con questo libro un gran lavoro. Non è facile prendere le distanze,con la freddezza necessaria che serve alla ricostruzione dei fatti e dei loro significati, per chi di quegli avvenimenti è stato protagonista e molto spesso promotore, esercitando una leadership riconosciuta e rispettata nella sua categoria e nel movimento sindacale di base italiano.
Eppure queste pagine, dense e scorrevoli, avvincenti e documentate stanno a dimostrare che la sfida con se stesso Tomaselli l’ha vinta, a tutto vantaggio del lettore.
Non solo. Queste pagine colmano un vuoto di documentazione e, conseguentemente, di riflessione su una lunga teoria di episodi che sono entrati a far parte della storia del movimento dei lavoratori italiani. Pagine utili a chi ha preso il testimone dell’impegno sindacale, nella generazione politica successiva a quella di Tomaselli. Ma molto utili anche a chi voglia studiare a fondo i rapporti e gli scontri fra capitale e lavoro e le loro evoluzioni e trasformazioni tra la fine del Novecento e il primo ventennio del Duemila. Per certi versi è un’inchiesta, senza la quale sarebbe impossibile capire e agire.
Alitalia è stato un laboratorio, in cui sono passate privatizzazioni e globalizzazione, capitale pubblico e privato, valori di Borsa e convenienze politiche, clientele e inefficienze, lauti compensi e precarizzazione, propaganda liberista e inconsistenza manageriale, asservimento dei vertici confederali e ribellione della base, cogestione e conflitto.
E fallimento di paradigmi gestionali, ma anche di inefficacia di proposte politiche.
A un certo punto di “La storia della rivoluzione russa”, la cui pedante, minuziosa, pignola ricostruzione dei fatti, momento per momento, ricorda – facendo le debite proporzioni – questo libro, Trotsky scrive: “Che una classe s’incarichi di trovare una soluzione a problemi che interessano un’altra classe, è una delle combinazioni caratteristiche dei paesi arretrati.”
Il che rimanda al fatto che le relazioni industriali, per quanto possano essere rigorose nel rispetto dei ruoli e piene di prospettive suggestive; che l’azione sindacale, per quanto sia una spinta che provenga dal basso, dalla base; che i piani industriali, per quanto innovativi possano sembrare; nessuno di questi fattori – sia singolarmente presi in considerazione che combinati fra loro da politiche espansive – riescono a cambiare i rapporti di forza.
Il caso Alitalia sta a dimostrare che il capitalismo in generale, ma quello italiano in particolare, sfugge all’idea di riformare il suo modo di fare profitto; che la “distruzione creativa” è nella sua natura, esattamente come quella dello scorpione che uccide la rana anche se affogherà essa stessa tra le rapide del fiume.
“A prescindere da quel che farà il governo è fondamentale che i lavoratori riprendano rapidamente parola e che diventino nuovamente i primi protagonisti di questa assurda storia di Alitalia che per tanti versi sembra lo specchio della situazione di un paese dove le responsabilità non emergono mai del tutto e dove a farne le spese è sempre chi lavora, chi il lavoro non lo ha o chi lo perde …ma anche questa è un’altra storia!”, scrive Tomaselli.
Ecco. Questo libro ci aiuta a capire che il protagonismo politico, non solo sindacale, dei lavoratori deve tornare a essere la forza motrice del cambiamento. Lo sa anche Tomaselli quando scrive “…ma questa è un’altra storia!”.
La storia di come sconfiggere lo “scapitalismo italiano”.