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Elezioni comunali: il voto utile, il voto vano o il voto “meno peggio, tanto meglio”?

Sembra che i candidati e i loro apparati abbiano ben altro a cui pensare.

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Le elezioni comunali che si terranno domenica 5 giugno sono un nuovo passo avanti nella degenerazione modernista della democrazia rappresentativa.

Dopo il “voto utile”, categoria utilitaristica della partecipazione democratica, che tante soddisfazioni ha regalato a liste dimostratesi poi combriccole di arruffoni, stiamo per assistere al varo di una nuova categoria politica: il “voto vano”.

Se Montanelli consigliò di votare turandosi il naso, il “voto vano” si esercita semplicemente tappandosi gli occhi.

Infatti, il “voto vano” è un atto ideologico che non organizza né teorie né idee, solo auspici, al massimo indici di gradimento sulle persone.

Il “voto vano” sarà, per esempio quello che verrà espresso da chi pensa all’ideologia della riunificazione della destra, colla leadership di Berlusconi; o di Salvini (la destra ex fascista sta alla “frutta”, infatti candida Meloni a Roma); il “voto vano” sarà anche alla base dell’ideologia dell’onestà in politica (l’onesta è come la salute, quando c’è, c’è tutto!); il “voto vano” sarà pure conferito a chi professa l’ideologia di una sinistra a sinistra della sinistra del Pd.

E all’amministrazione dei servizi che la città dovrebbe somministrare ai cittadini? Chi ci pensa? Quale nuovo modello, progetto o prospettiva connota e differenzia candidati e schieramenti? Sembra che i candidati e i loro apparati abbiano ben altro a cui pensare.

Sembra che i candidati e i loro apparati abbiano ben altro a cui pensare.
Sembra che i candidati e i loro apparati abbiano ben altro a cui pensare.

Ecco il punto. L’unica possibilità di garantire un minimo dignitoso nella gestione dei servizi ai cittadini e quindi di proteggere e magari accrescere il tenore e la qualità della vita nelle città italiane è “rinegoziare” col governo il debito che gli enti locali hanno accumulato negli anni, dopo i continui tagli lineari che gli inquilini di Palazzo Chigi hanno inferto ai trasferimenti di risorse economiche dallo Stato ai Comuni.

Da anni, nei comuni italiani, la Capitale in testa, si è sedimentato il più bizzarro schema di marketing del mondo: al cittadino è stato imposto di pagare di più per avere sempre meno e male.

Ora, la domanda è: chi è in grado di poter ottenere più facilmente dal governo un allentamento dell’austerity imposta al proprio comune?

Badate: ho detto allentamento, mica ripristino dei finanziamenti statali ai Comuni. Va precisato, perché i candidati non lo fanno, le loro sono spesso ricette elettoralistiche, che servono forse come lo zucchero che addolcisce l’amara pillola, sono mica vere medicine per curare seriamente i bilanci malati.

Non è difficile capire quali e candidati e schieramenti abbiano, in teoria, questo “vantaggio competitivo”.

Al “voto vano” si contrappone, allora, l’opportunismo politico, il pragmatico senso del “meno peggio, tanto meglio” che è la forma di adesione ideologica offerta dai candidati espressi o sostenuto dal Pd, per il semplice motivo che è il partito di governo.

Tuttavia, le elezioni comunali di domenica 5 giugno non cambieranno né il quadro politico né fermeranno lo smantellamento, pezzo a pezzo della spesa pubblica a favore dei servizi ai cittadini, a favore della qualità delle città. Uomini e donne che in queste ore stanno promettendo, se eletti, di cambiare tutto, in realtà stanno trattano gli elettori come bambini.

Chiunque vinca, soprattutto a Roma, l’idea di privatizzare e portare a valore economico i servizi di cui i cittadini avrebbero pieno diritto continuerà ad avvilire, umiliare e depotenziare il concetto di uguaglianza, per continuare ad arricchire i ricchi e impoverire i poveri, come ci ha insegnato la lunga crisi economica.

Forse, non bisognerebbe cambiare candidato, ma cambiare politica. Ma per ottenere un vero cambiamento più che il voto può la lotta. La lotta “contro” ha fatto sempre venire buone idee “per”.

Le donne e gli uomini appartenenti alla classe lavoratrice e ai ceti medi impoveriti dalla crisi e dallo sbriciolamento sistematico dello stato sociale sono quelli su cui è gravato il peso economico e sociale delle bancarotte comunali, sono quelli che hanno visto tagliare servizi e aumentare tariffe, che hanno visto peggiorare le condizioni di vita nelle città in cui lavorano; che si spostano faticosamente nel traffico urbano, che mandano a scuola i figli, mettendogli nella cartella la carta igienica o che portano dal medico gli anziani facendo i conti coi ticket; che vanno a fare la spesa stando attenti ad arrivare alla fine del prossimo mese, loro che sono la maggioranza degli elettori dovrebbero smetterla di dare ancora credito al “voto vano” o al “meno peggio, tanto meglio”. Si sta dimostrando dannoso, peggio di quello che fu “il voto utile”. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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