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Di chi è figlia la corruzione in Italia?

“La classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi”: è quanto ha detto al Corriere della Sera Piercamillo Davigo, appeno eletto presidente dell’Anm.

Sembrava il minimo sindacale dell’etica pubblica. E invece s’è scatenato un putiferio: coscienze sporche in allarme, code di paglia agitate, alleanze trasversali in fibrillazione. 

Siamo al 61^ posto nel mondo per la percezione della corruzione. Un “record” internazionale che non sarebbe possibile se non ci fosse un affiatato “gioco di squadra” tra mafie e politica. 

E siccome nel nostro ordinamento la responsabilità penale è individuale, ecco spegato perché si è agitata la “corte dei miracoli” della politica italiana: è suonato l’allarme “anti fumus persecutionis”. Tutti a cercare alibi politici. Un’excusatio non petita che è suonata come stridula ammissione di colpa. Questa volta chiaramente politica, più che giudiziaria.

“Tante assoluzioni o archiviazioni riguardanti esponenti politici fanno riferimento a rapporti accertati con mafiosi, dunque a dei fatti, che però non sono diventati reato. E la politica cosa fa? Si è dimostrata del tutto incapace di reagire, punendo con meccanismi di responsabilità interna coloro che cercano i mafiosi. È molto più facile attaccare i magistrati.”
Lo ha detto a Repubblica Nino Di Matteo, titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia.

Nel suo “Il facilitatore”, edito da Feltrinelli, Sergio Rizzo mette a nudo la mentalità che spinge a diventare un faccendiere e descrive con puntuali argomentazioni i legami che la corruzione è capace di intessere, “senza vergogna”. 
 

Una volta era la malavita che si infiltrava nella politica. Oggi sembra sempre più chiaro che politici di varia caratura cerchino di intercettare il malaffare per riempirsene le tasche. Come? 

Facile: facendo scempio di diritti singoli e collettivi, le politiche neoliberiste hanno messo a valore i principi fondamentali della democrazia e dello stato sociale, trasformandoli in cacciagione prelibata. 

Si fanno affari d’oro privatizzando i beni comuni e il welfare. Eccolo il terreno di coltura e di cultura della corruzione: non tanto la fiacchezza dell’etica pubblica, né l’omertà delle conventicole politico-finanziarie, ma la privatizzazione dell’agire politico, che ha dato il via allo strapotere reale di nuove oligarchie, è la mamma di tutte le tangenti. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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