Fanta-raccontino al telefonino.
Come ricorderete, tempo fa fui fermato a un controllo stradale. Mi furono trovati nel sangue valori d’innamoramento due volte e mezza superiori alla norma. Mentre stavo preparandomi al peggio, l’algoritmo agente della stradale mi lasciò andare. Era un algoritmo femmina.
Qualche giorno dopo, sul mio display personale, mi arrivò questo messaggio:
“Buongiorno, sono l’agente che ha scoperto il suo alto tasso d’innamoramento nel sangue. Vorrei poterle parlare. In via ufficiosa, s’intende.”
Il cuore mi balzò in gola, avevo sperato l’incidente si fosse chiuso per sempre, e invece ecco di nuovo quel maledetto problema che si ripresentava e rischiava di provocare spiacevoli conseguenza. Battei alla tastiera:
“Volentieri, signora agente.”
“Bene, la ringrazio della fiducia. Conosce “La blatta”, vero?”.
“No, cioè sì, come fa a saperlo?”.
“Sono un agente, no?! L’aspetto lì stasera verso le 19,30. Cerchi un tavolo un poco appartato, così daremo meno nell’occhio. Chiudo.”
Rimasi molto colpito dalla determinazione dell’agente della stradale, tanto più che era un algoritmo. Femmina, certo, quindi più sensibile, secondo la percezione della differenza tra i generi che era stata poi ricalcolata nella preparazione dell’algoritmo. Potenza della matematica. L’altra cosa che mi colpì fu la scelta del luogo.
“La blatta” è un bar di estrema periferia, che potrei definire post-pasoliniano. Pier Paolo Pasolini fu un poeta di un paese europeo che adesso non c’è più. Dopo vari tentativi di diventare una nazione, l’Italia, questo il vecchio nome di quel paese, fu di nuovo una pura entità geografica. Loro, gli abitanti sono contenti, i nuovi proprietari pure. Chi c’è stato dice che c’è un bel clima, tante cose belle da vedere, tante cose buone da bere e mangiare.
“La blatta” è un posto alquanto squallido, sporchino, frequentato dagli abitanti del circondario, che non è esattamente un quartiere residenziale. Sembra il nome derivi dalla prima proprietaria, che si muoveva strusciando, proprio come uno scarafaggio.
Io amo posti così, quando m’immergo in quell’atmosfera riesco a stare solo con me stesso e a concentrarmi perché io sono talmente fuori contesto che nessuno osa disturbarmi, nel tentativo di famigliarizzare. All’inizio mi guardavano con sospetto, adesso per loro è una certezza: quello è strano, sta lì che legge e scrive, beve, non parla, se non per dire “grazie” o “quanto pago” e se ne va.
Come convenuto, alle 19,30 arrivai da “La blatta” e mi misi al mio solito posto, quello più lontano. Tirai fuori il lettore digitale di libri, mi voltai verso il bancone, il barman, o quel che vorrebbe sembrare essere, mi fece tre con le dita, feci un segno di assenso e cominciai a leggere.
Dopo un poco, su un vassoio automatico mi arrivarono le mie tre ordinazioni: un espresso amaro, un bicchiere d’acqua frizzante con ghiaccio e un whisky liscio. C’ho messo mesi per attivare questa modalità e alla fine la procedura dell’ordinazione ha conquistato uno sperimentato automatismo tra il personale di “La blatta”. Piccole soddisfazioni.
Lampeggiò il display: “Eccomi, buona sera, scusi il ritardo”.
“Buona sera, signora agente, in effetti dovevo immaginare che ci saremo visti in questo modo. Ma allora perché darmi appuntamento qui?”
“Chiamami Cate e diamoci del tu, sono fuori servizio. Qui è dove tu ti rilassi meglio e quindi mi sembrava il luogo adatto a una chiacchierata informale.”
Oddio, questa sa molto di me, dovrei essere guardingo, pensai.
“Cate? Un algoritmo che invece che un codice alfanumerico s’identifica con un nome di donna? Finora glielo avevano dato solo agli uragani.”
“Divertente. Il mio è un nickname, lo uso nei social di incontri.”
“Cosa? Mica mi starai corteggiando in modo virtuale?”
“Non ti montare la testa. Sono un algoritmo femmina, e per capire meglio voi maschi vi studio sul campo. Cioè sulle chat”
“Campo? Che campo?”
Il display sembrò avere una esitazione, appena, quasi impercettibile. Poi formò la frase senza intralci.
“Quello del desiderio di amare e essere amati, come dite voi, in preda a complicati coinvolgimenti erotico sentimentali.”
“E se le chiedono un incontro vis-à-vis?”.
“Scelgo un bar e ci vado virtualmente.”
“Come adesso?”
“Già, stupido maschio!”
“Cate, ma mi state tenendo sotto controllo?”
“Solo io. Sono preoccupata per te.”
“Carino. Cosa ti preoccupa?”
“Il tuo tasso d’innamoramento nel sangue”.
“Beh, a noi uomini può succedere”.
“Sì. Ma se il tasso è così alto, vuol dire che c’è qualcosa che non va con l’amore”.
“Non capisco.”
“Se hai tutto quest’amore nel sangue, vuol dire che non riesci a esprimerlo, che qualcosa o qualcuno te lo impedisce. E’ come se tu fossi sbronzo e non riuscissi a espellere l’alcol in eccesso che ti circola in corpo.”
“No, è solo che, beh, non so. In effetti ci sono dei problemi.”
Bevetti un sorso d’acqua, il ghiaccio s’era sciolto.
“Dai, puoi parlarmene, in un certo senso sono una donna anch’io.”
“Siamo stati insieme, poi lei se n’è andata via. Solo allora ho sentito un’intensità che non sapevo di avere più tra i miei sentimenti.”
“Sei spaventato.”
“Agente…”
“Cate.”
“Cate, come fai a saperlo?”
“C’erano tracce d’angoscia nel tuo innamoramento, per questo ti ho lasciato andare. Se fossi stato tronfio e pieno di te e del tuo fascino maschile ti avrei dato una sonora stangata. Invece, mi sei sembrato in difficoltà e allora non me la sono sentita di infierire.”
“Accidenti, Cate. Fate un controllo e riuscite a scoprire tutto di noi, anche quello che si cela nel profondo dell’inconscio?”
Ancora quell’impercettibile esitazione del display.
“Permetti una domanda politica? Cosa hai votato nel referendum globale del 2065?”
“Dici quello “privacy” o “sicurezza”. Ho votato “privacy”, ma perdemmo.”
“Infatti. Per la sicurezza noi scandagliamo tutti i vostri sentimenti. Non è poi così difficile, ogni atteggiamento umano produce una reazione chimica e quindi un algoritmo è capace di registrarla.”
Ma che dici?, pensai. Chiesi, scettico:
“Che pericolo per la sicurezza può mai rappresentare un eccessivo innamoramento, ammesso che possano essere distribuiti di taglia small, large ed extralarge, come dici tu sia il mio.”
In un bagliore velocissimo, apparve sul diplay:
“Un innamoramento normale non dà preoccupazioni, perché è controllabile, anzi aiuta il consumi: regalini, fiori, cenette, eccetera. Uno più grande è utile, perché nella maggior parte dei casi riesce a contribuire alla continuazione della specie umana.”
“Cioè?”
“Eddài. Trombano e poi fanno i figli, no!?”
“Vabbeh. E quello XXL?”
“Non fare ironie. Una dose eccessiva d’innamoramento può creare disordine sociale, rendere le persone mal disposte alla disciplina, farle sognare un mondo ideale. Un grande amore è eversivo, pratica la guerriglia analogica della poesia, è disposto a battersi contro lo strapotere digitale. Chi ha grandi passioni amorose è portato ad avere grandi passioni civili, per cose superate, come la libertà o la giustizia. A parte il fatto che poi uno magari si mette alla guida con la testa sulle nuvole, invece che con gli occhi sulla consolle. Mi pare tu fossi in quello stato, quando ti ho fermato l’altro giorno, no?! “
Il caffè s’era freddato, era più amaro che mai. Lo ingollai, prima di chiedere:
“Cate, perché hai voluto vedermi”.
Temendo la risposta che stavo per ricevere, mandai anche giù una robusta sorsata di whisky.
“Quell’angoscia nell’innamoramento non è un bel segnale.”
“Questo me lo hai già detto.”
“Sei sicuro lei sia la donna giusta?”
“Ma è la stessa cosa che dice lei, maledizione.”
“Anche gli algoritmi femmina hanno intuito. Femminile, appunto.”
“Che vuol dire?”
“Lo hai voluto tu: non ti chiedere se lei è la donna giusta per te; chiediti cosa sei disposto a fare per lei.”
“Sta roba l’ho sentita raccontare a proposito di un famoso discorso di JFK.”
Una scarica, come fosse elettrica attraversò il display per qualche secondo, che sembrò interminabile. Poi apparve una frase:
“Lascia stare tutto quello che credi di sapere. Pensa solo a lei. Il tuo tasso d’innamoramento può essere all’altezza del suo amore oppure sarà solo la misura della tua angoscia esistenziale, cioè la paura di fallire. Questa è chimica, questa è matematica.”
“Cate, perché fai questo per me?”
“Se non finalizzi il tuo innamoramento con lei, sarò costretta a fare rapporto sul controllo che ho operato nei giorni scorsi. Ti ho già detto che tutto quell’amore nel tuo sangue è sospetto, è eversivo, è pericoloso per il nostro sistema.”
“E tu stai rischiando per me e il mio amore. Cosa ti spinge a tutto questo?”, battei sulla tastiera con un certa emozione.
“Sono stata calcolata da una coppia di matematici, un grande amore clandestino. Mi hanno programmata per difendere quelli come te, ma sbrigatevi voi due, non posso più espormi a lungo. Chiudo.”
Mi trovai a tentare di bere da bicchieri vuoti, la gola secca e una salivazione fuori controllo. Il display si spense e io rimasi lì. Ordinai un altro giro facendo due con le dita, che da “La blatta” significava un altro bicchiere d’acqua, un altro whisky liscio, senza un caffè espresso amaro. (Beh, buona giornata).
Una risposta su “L’algoritmo femmina.”
Non si parlava di paura giusto un paio di giorni fa?
Bravo