Così la crisi cambia il nostro stile di vita
Che cosa temono maggiormente i nostri contemporanei, in particolare gli abitanti delle dieci città più grandi e più importanti del pianeta, e quali sono le loro (e le nostre!) più assillanti e tormentose preoccupazioni, quali le cause più minacciose all’ origine dei loro (e nostri!) incubi (se ne hanno~)?
Dal sondaggio del World Social Survey del luglio 2008 è stato possibile dedurre differenze sbalorditive tra i vari Paesi. Tra le principali preoccupazioni che assillano gli americani in cima all’ elenco ci sono la paura che il loro standard di vita precipiti in un immediato futuro, la paura di perdere il posto di lavoro, il timore che la vita dei loro figli sia più difficile di quella dei loro genitori. Gli americani sono stati i primi a dover stringere la cinghia e ad avvertire la morsa della crisi, poiché gli enti che erogavano mutui subprime, e ancor più coloro che erogavano prestiti, erano nei guai già a luglio.
In Gran Bretagna nessuno di questi cupi presagi ha raggiunto il vertice della classifica delle paure, e nessuno ha trovato posto tra le prime otto preoccupazioni più di frequente citate dagli intervistati. Nel novembre 2008, però – dopo cinque mesi appena – un altro sondaggio ha permesso di apprendere che un britannico su due dormiva meno bene di quanto dormisse sei mesi prima, che uno su quattro si svegliava più di tre volte ogni notte, che due su tre imputavano la loro insonnia soprattutto alla penuria di soldi e allo spettro della disoccupazione.
Uno dei risultati più sconcertanti tra i molteplici della crisi creditizia, è – come possiamo constatare da altre prove e da una consapevolezza comune che si diffonde rapidamente – quanto connesse (anzi, in realtà, interconnesse e reciprocamente dipendenti) siano le nostre vite, le nostre prospettive e le nostre paure nel nostro mondo globalizzato. Non soltanto gli americani e i britannici, che per molti anni hanno vissuto a credito, spendendo e spandendo ben al di sopra dei loro mezzi, ma anche popoli di nazioni relativamente puritane – parsimoniose e prudenti, fiere delle loro esportazioni che superavano le loro importazioni, orgogliose dei loro budget di governo come pure di ogni singolo nucleo famigliare che non precipitavano nell’ insolvenza – avvertono ora queste preoccupazioni e scoprono di colpo che dormire bene di notte è un vero e proprio lusso (come i clienti della Germania, per esempio, che non sono più in grado di permettersi i beni che essa vorrebbe esportare).
In un paese lontano del Queensland in Australia, una giovane che oggi ha 23 anni e si chiama Siobhan Healey alcuni anni fa ha ottenuto la sua prima carta di credito: quello è stato – a suo dire – il giorno della sua emancipazione. Finalmente era libera di poter gestire da sola le proprie finanze, libera di scegliere le sue priorità, libera di far corrispondere i suoi desideri alla realtà. Non molto tempo dopo, la giovane ha chiesto e ottenuto una seconda carta di credito per far fronte agli interessi e ai debiti accumulati sulla prima.
Passato poco tempo ancora, ha appreso altresì il prezzo della sua tanto agognata “libertà finanziaria”, per la precisione nel momento in cui ha scoperto che la seconda carta di credito non bastava a far fronte e a coprire gli interessi dei debiti della prima. Si è quindi rivolta a una banca per ottenere un prestito necessario a saldare gli scoperti di entrambe le carte, che a quel punto avevano già raggiunto la spaventosa cifra di 26.000 dollari australiani. Seguendo però l’ esempio degli amici ha preso in prestito altri soldi ancora, per finanziarsi un viaggio oltreoceano – un must per chiunque abbia la sua età. Adesso, finalmente, è stata assalita dalla consapevolezza di avere pochissime chance di poter mai ripagare da sola il proprio debito, e ha compreso che sottoscrivere sempre più prestiti non è il modo giusto per farlo. E così ha dichiarato – purtroppo per lei, con uno o finanche due anni di troppo – di aver “cambiato completamente mentalità e di aver imparato che per fare acquisti è necessario risparmiare”. Attualmente ha assunto un consulente finanziario, ha interpellato un amministratore e conciliatore che la aiuterà poco alla volta a tirarsi fuori dal baratro nel quale è caduta. Ma costoro la aiuteranno davvero a “cambiare radicalmente mentalità”? Resta da vedere. E quale aiuto trarrà dalle loro lezioni, se nessuno sarà disposto a offrirle un’ altra sospensione della pena? Ben Paris, portavoce di Debt Mediator Australia, non si stupisce né si sconcerta più di tanto: paragona la tragica vicenda di Healey a “giocare al gioco delle sedie sul ponte del Titanic”, per aggiungere quindi senza indugio che è del tutto normale per i giovani “prendere soldi in prestito ben oltre i propri mezzi”, e fa notare che il caso di Siobhan Healey non è affatto unico e fuori dalla norma: «Ogni anno riceviamo 25.000 giovani che sono in situazione critica dal punto di vista finanziario, e questa è soltanto la punta dell’ iceberg».
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in Germania e in Australia per uomini e donne, per giovani e vecchi è ormai lapalissiano che sono giunti al termine i bei tempi in cui potevano ancora credere che nel caso in cui fossero finiti nei guai ci sarebbe sempre stato qualcuno accanto a loro o nei paraggi disposto in qualche modo a offrire un “prestito ponte” fino al momento in cui le loro fortune non fossero tornate a sorridere loro.
Tre anni fa, mentre raccoglieva materiale per un suo articolo, Tim Adams del londinese Observer riuscì in pochissimo tempo a mettere insieme “la cifra teorica di centomila sterline semplicemente dando ripetutamente il cognome da nubile della madre in qualche telefonata a banche cordiali e società di credito in competizione tra loro per accaparrarsi un nuovo cliente”, mentre di recente non è riuscito a ottenere un’ estensione di diecimila sterline per il mutuo da una società bancaria con la quale ha rapporti da ben quaranta anni.
Molto prima che l’ ultima bolla del mercato esplodesse, c’ erano già numerosi segnali dai quali si evinceva che la fiducia reciproca – il fatto di credere nella serietà, nell’ affidabilità e nella buona volontà altrui – non era poi così grande come avrebbe potuto essere in una società meno liquida e instabile e dunque più prevedibile e affidabile della nostra. Ma l’ esplosione della bolla dei prestiti erogati e sottoscritti ha inferto un duro colpo a quella fiducia, proprio dove più fa male e dove la ferita è più deleteria.
Nel nostro mondo pullulante di rischi, un mondo che ci blandiva, spronava e costringeva a essere temerari e coraggiosi e a proseguire nelle nostre acrobazie al trapezio anche se le reti di sicurezza andavano scomparendo una dopo l’ altra, le banche in fin dei conti si sono presentate come l’ ultimo riparo sicuro, si sono spacciate per l’ ultimo bastione della fiducia: hanno promesso di ammortizzare la nostra caduta, se fossimo mai caduti. E noi abbiamo creduto anche che le banche avrebbero calcolato i rischi meglio di quanto fossimo capaci noi, e che ci avrebbero pertanto difeso dalle temibili conseguenze di mosse azzardate, sconsigliabili e stolte. Il fatto che riconoscessero il nostro status di individui meritevoli di fiducia costituiva una sorta di certificato della nostra sagacia, era la prova indiscutibile della nostra competenza che ci serviva per andare avanti.
Adesso, invece, i direttori di banca hanno perso fiducia nell’ affidabilità di coloro ai quali erogavano i loro prestiti – affidabilità che loro stessi hanno messo maggiorente a rischio, esortando i loro clienti esistenti e i loro aspiranti clienti a vivere al di sopra dei loro mezzi, a spendere soldi non ancora guadagnati e che tutto sommato avevano ben scarse speranze di poter mai guadagnare, rassicurandoli che in caso di necessità il soccorso da parte delle loro banche amichevoli e sorridenti, sempre-pronte-ad-arrivare-anche-con-breve-preavviso non sarebbe venuto meno. Invece, noi tutti abbiamo perso fiducia nell’ affidabilità delle capacità di giudizio delle banche e nell’ attendibilità delle loro promesse. Una volta sparito il sorriso dalle facce benevolenti dei manager di banca, ciò che è affiorato da sotto la maschera non era affatto rassicurante: sinistre e spietate maschere facciali di contenimento di esperti in recupero crediti e agenti addetti agli espropri.
Abbiamo perso fiducia anche nei nostri esperti, nei consiglieri, negli specialisti in previsioni economiche, in coloro che pretendevano di avere una linea diretta con il futuro e di sapere perfettamente come riconoscere le iniziative sicure e prudenti da quelle avventate e stolte. Le banche assumevano – non è forse vero? – i consulenti migliori, quelli che non ci saremmo mai sognati di poter interpellare né tanto meno di retribuire per i loro servigi, e guarda un po’ in quali guai sono finiti! La fiducia – così sembra – sta vivendo tempi quanto mai difficili, come mai prima d’ ora. Non possiamo più seguire la fiducia nello spazio intergalattico nel quale è stata proiettata.
Siamo infatti abituati ad avere a che fare con “questioni di fiducia” a nostra dimensione, umana, modesta: la maggior parte di noi si è imbattuta in questa questione faccia a faccia quando si è trattato di prendere in prestito o di prestare qualche centinaio, forse qualche migliaio di sterline o di euro, al più cento o duecentomila al massimo, nella rara circostanza in cui si comperava una casa o si apriva un’ attività.
Ogni giorno dai giornali apprendevamo che mentre noi eravamo in coda per ricevere magri sussidi statali, le scuole, gli ospedali, i teatri, le ferrovie, i trasporti municipali e altre istituzioni fondamentali per la nostra vita di tutti i giorni dovevano arrabattarsi e farsi in mille per ottenere finanziamenti di un milione o di qualche milione di sterline o di euro che – così sostenevano – avrebbero fatto la differenza tra la normalità e la catastrofe. Adesso su quegli stessi giornali leggiamo che al fine di ripristinare la fiducia tra banche e clienti, occorrono miliardi di sterline o di euro. Anzi, neppure miliardi, ma un numero non meglio quantificato di centinaia di miliardi. Il presidente eletto americano qualche giorno fa ha parlato di un trilione di dollari, nel momento stesso in cui alcuni commentatori facevano notare che le misure e i provvedimenti che egli ha in mente di realizzare costeranno molto, molto di più.
Come ha calcolato Tim Adams, le cifre sbandierate in questi giorni in relazione al probabile costo che comporterà il ritorno alla normalità è equivalente (in valori attuali) all’ importo complessivo speso per il Piano Marshall (l’ Italia e Trieste ricevettero, per procedere alla ricostruzione post-bellica, poco più di un miliardo di dollari del budget complessivo previsto dal Piano Marshall e corrispondente a poco più di 12 miliardi di dollari), per il programma spaziale della Nasa e per la guerra del Vietnam. Tale cifra mette a dura prova la nostra comprensione. Va al di là di quello che riusciamo anche solo a immaginare.
Non siamo più saggi e non sappiamo che cosa fare di più (al di là di quello che noi, intesi come voi e io, possiamo singolarmente fare), non più di quanto saremmo e sapremmo fare se ci fosse stato detto che i ministri delle Finanze nel loro meeting d’ emergenza indetto per un certo giorno avessero convocato una schiera di angeli e l’ avessero fatta arrivare sulla Terra per porre rimedio a ciò che noi – indolenti esseri umani – abbiamo così rovinosamente distrutto. Unica reazione ragionevole dovrebbe sembrarci la preghiera, se solo sapessimo a quale arcangelo in carica indirizzare debitamente le nostre invocazioni.
E’ troppo presto per dire se la crisi finanziaria ci stia cambiando e se all’ uscita dal tunnel saremo di fatto diversi. Per quanto riguarda la prognosi, ammiro – anche se non necessariamente invidio – gli esperti che non avendo apparentemente perduto un briciolo della loro fiducia in loro stessi, malgrado tutti i rovesci di fortuna e il fatto di averci rimesso la faccia, si precipitano a fare previsioni su quanti lavoratori complessivamente perderanno il loro posto di lavoro prima che torni a esserci un certo benessere, a che ora dell’ anno prossimo o di quello dopo ancora le banche riprenderanno a erogare prestiti e noi potremo ricominciare a chiederli, e a quali comodità della nostra esistenza dovremo rinunciare temporaneamente o per sempre: la cena al ristorante? Le vacanze all’ estero? I regali di Natale? Gli alimenti biologici, per altro costosi? Temo che, come il resto di noi, gli esperti siano sopraffatti dalla smisurata entità di questo enorme problema col quale siamo attualmente alle prese. Come i generali, anche loro combattono le battaglie del passato, le uniche che conoscono~
Ma il crollo collettivo di quella fiducia che aveva caratterizzato, sorretto e mantenuto nei binari la nostra esistenza nei decenni recenti, e la sua fuga nel regno dell’ inimmaginabile, non hanno sicuramente precedenti, e pertanto non vi è alcuna ovvia e naturale lezione di storia che possiamo trarre e mandare a mente. L’ unico confronto storico che sembra all’ altezza della nostra situazione è quello con Winston Churchill che dichiarò, proprio mentre stava per diventare palese a tutti, che l’ unica strada verso la vittoria che egli si sentiva di poter responsabilmente promettere alla nazione in difficoltà, era quella che prevedeva ancora più sudore, più fatica, più sacrifici~ (Beh, buona giornata).
Traduzione di Anna Bissanti