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“Troppi giovani che finiscono gli studi con una laurea restano senza lavoro, questo è accaduto anche a Madrid e al Cairo, stiamo attenti a non avere le stesse conseguenze, un’esplosione di proteste”.

di FEDERICO RAMPINI-la Repubblica

“New York rischia la fine del Cairo”, avverte Bloomberg. Il sindaco lo considera un rischio concreto. Teme il ritorno di rivolte violente. L’ultimo precedente risale agli anni Sessanta, quando le tensioni razziali e la guerra del Vietnam trasformarono in campi di battaglia le metropoli americane. “Troppi giovani che finiscono gli studi con una laurea restano senza lavoro – dice Michael Bloomberg – questo è accaduto anche a Madrid e al Cairo, stiamo attenti a non avere le stesse conseguenze, un’esplosione di proteste”. Mentre il sindaco parla alla radio, Wall Street è transennata perché (nonostante il sabato e i mercati chiusi) vi affluiscono i manifestanti del Day of Rage, il “giorno della rabbia”, che denunciano “il dirottamento della democrazia americana da parte della finanza”.

Nelle stesse ore il vertice europeo si tiene in una Breslavia assediata per l’arrivo di 30.000 manifestanti. Hanno fatto il giro del mondo le immagini del cittadino greco che ha tentato di immolarsi davanti alla banca che non gli aveva concesso una dilazione sul mutuo. Quell’uomo in fiamme spiega l’accostamento che fa Bloomberg tra il disagio sociale in Occidente e la “primavera araba”? In Tunisia la scintilla iniziale della rivolta fu il gesto disperato di un ambulante che si diede fuoco per protestare contro gli abusi della polizia.

Certo nei movimenti che agitano il Nordafrica c’è un altro elemento, la rivolta antiautoritaria. Ma altrettanto importante è l’elevata disoccupazione giovanile, la ragione per cui Bloomberg mette sullo stesso piano gli “indignados” di Madrid e i giovani di Piazza Tahrir. E s’immagina Manhattan trasformata a sua volta in un rogo di proteste. Esagera? Il sindaco di New York non è solito fare dell’allarmismo. E’ un brillante businessman, uno dei capitalisti più ricchi del suo Paese, per avere fondato la maggiore agenzia d’informazioni finanziarie. Politicamente è un indipendente di centro. Quella che intuisce, è una malattia comune a molte nazioni occidentali.

Dalla democrazia più antica del mondo, la Grecia, a quella più potente del mondo, gli Stati Uniti, le basi del consenso sociale vengono disintegrate dalla Grande Contrazione economica, che dura da cinque anni e di cui non si vede la fine. Atene vive una “sospensione” della democrazia: la politica economica viene dettata da tecnocrazie esterne cioè Bce, Commissione europea, Fmi. Forse è vero quel che pensano i tedeschi, che i greci se lo sono meritati con una gestione dissennata e parassitaria delle loro finanze. Resta il fatto che la loro sovranità è stata trasferita a Francoforte, Bruxelles, Washington.

Negli Stati Uniti è in frantumi un contratto sociale che reggeva dal New Deal degli anni Trenta. Più di 46 milioni di americani vivono sotto la soglia della povertà, è un livello record, mai raggiunto da quando esistono questi dati raccolti dal Census Bureau. Perfino più impressionante dei nuovi poveri, è il destino della middle class.

Il reddito annuo mediano per un maschio adulto che lavora a tempo pieno, se misurato in potere d’acquisto reale, è regredito rispetto ai livelli del 1973. Quarant’anni di sviluppo economico cancellati, per il ceto medio è la fine dell’American Dream. Questo tracollo di tenore di vita e di aspettative coincide con una smisurata accumulazione di ricchezze ai vertici della piramide.

L’unico precedente storico è negli anni Venti, la cosiddetta Età dell’Oro che precedette il crac del 1929. Anche allora le diseguaglianze sociali giocarono un ruolo fondamentale nello scatenare la Grande Depressione: la debolezza estrema del potere d’acquisto dei lavoratori fece mancare al capitalismo quel mercato interno che è essenziale per la sua crescita. Ci vollero due grandi riformatori dell’economia di mercato, il presidente Franklin Roosevelt e l’economista inglese John Maynard Keynes, per salvare il capitalismo dalle sue pulsioni autodistruttive, costruendo una società meno duale e meno feroce. La grande differenza tra questa crisi e quella di 70 anni fa, è che nel frattempo grazie al keynesismo e al New Deal rooseveltiano tutto l’Occidente si è dotato di reti di protezione sociale, un Welfare State che attutisce almeno in parte le sofferenze della crisi.

E’ proprio questo Welfare State il cui smantellamento viene messo all’ordine del giorno, in Grecia dalle tecnocrazie europee su mandato tedesco, in America dalla destra neoliberista che controlla la Camera. Questo accade mentre in tutti i Paesi sviluppati i sindacati sono in uno stato di debolezza estrema; e la sinistra è sotto assedio nelle poche nazioni dove governa (Washington, Madrid, Atene).

In assenza di meglio, tocca a un miliardario illuminato come Bloomberg lanciare l’allarme sulla lacerazione del tessuto sociale. Perfino due studi circolati nelle banche Citigroup e Morgan Stanley avvertono Wall Street sui danni della “plutonomia”, un sistema politico dominato dal potere del denaro, dove le diseguaglianze hanno oltrepassato i livelli di guardia e la crescita non ha più le basi di massa su cui ripartire. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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