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Crisi economica: una volta l’operaio voleva il figlio dottore, oggi anche il dottore ha il figlio precario.

L’INCHIESTA/ Il futuro impossibile degli under 35
Tre milioni di lavoratori a termine senza tutele

Giovani precari vittime predestinate
generazione a rischio per la crisi

Flessibilità significa che è più facile assumere. Il problema è che adesso
stiamo vedendo il rovescio della medaglia: è più facile anche licenziare
di MAURIZIO RICCI da repubblica.it

ROMA – “Una vita senza futuro, senza progetti. Del resto, chi si può permettere dei progetti, quando non puoi comprare un mobile a rate o fare un mutuo per la casa? Sei appesa al nulla”. Giovanna, quarantenne, precaria all’ufficio cassa di un ospedale abruzzese, campa da dodici anni di proroghe di tre, sei mesi del contratto: il presente le offre molto poco. Ma è molto, molto meglio del futuro, che è diventato un incubo.

L’incubo della tagliola: “Il contratto scade a fine gennaio. Chi sa cosa succederà? Io ho paura”. Gianluca, 29 anni, laureato in Scienze della comunicazione, tre anni nel call center di una grande azienda, il contratto l’ha già perso. Scade a fine dicembre e sa già che non glielo rinnoveranno. “Cosa faccio? Torno dai miei. Non ne ho nessuna voglia e la sento come una sconfitta. Ma non posso stare in mezzo alla strada. E poi? Boh. Ho provato a chiedere in giro, ma i miei amici stanno come me”.

La crisi economica, la recessione, stanno arrivando in queste settimane. Ma questa non è una crisi come le altre che l’hanno preceduta. E’ diversa, perché ha delle vittime predestinate. I sindacati lanciano un allarme a tutto campo. La cassa integrazione è cresciuta del 25% questa estate. In Lombardia è raddoppiata. I posti di lavoro a rischio, nei prossimi due anni, sono 900 mila solo nell’industria. Compresi commercio e servizi, potrebbero arrivare a un milione e mezzo.

Sono cifre enormi per un paese con 17 milioni di lavoratori dipendenti. Ma questa è la parte forte del mercato del lavoro, protetta da sussidi e garanzie che attutiscono l’impatto del taglio dei posti di lavoro. La mattanza dell’occupazione comincerà altrove, nella parte più debole ed esposta delle maestranze. Le vittime predestinate sono gli apprendisti, collaboratori, meglio noti come cococò, somministrati, interinali, a tempo determinato. L’esercito dei tre milioni di precari, che hanno monopolizzato il mercato del lavoro degli ultimi anni e per i quali non è necessario il licenziamento o l’anticamera della cassa integrazione: basta non rinnovare il contratto.

Perché questa è la prima crisi dell’era della flessibilità e tutto sta funzionando come prevedono i manuali. Flessibilità significa che è più facile assumere. Il problema è che, adesso, stiamo vedendo il rovescio della medaglia: è più facile anche licenziare. In teoria ? dicono sempre i manuali ? questo è un bene. Le imprese sono in grado di alleggerire rapidamente i costi, tagliando il personale. Così sgravate, reggono meglio la crisi e, non appena il vento dell’economia girerà, potranno riprendere più velocemente la corsa, tornando ad assumere. La teoria funziona, quando la crisi riguarda un’impresa o un gruppo di imprese. Quando è generale, l’impatto sociale è devastante, perché gente come Giovanna e Gianluca deve riuscire a galleggiare senza salvagente.

I numeri non sono facili da mettere insieme. Nel caso degli interinali (oggi si chiamano somministrati), Ebitemp, l’ente bilaterale per il lavoro temporaneo, calcola che il personale gestito dalle agenzie del lavoro in affitto, fra luglio e settembre sia calato del 7,6%. Soprattutto, sono scese di oltre il 21% le richieste di personale. Stefano Sacchi, Fabio Berton, Matteo Richiardi, in un articolo per lavoce.info stimano che solo metà degli interinali abbia qualche forma di protezione, quando resta senza lavoro.

Questa percentuale scende sotto il 40% per il milione e mezzo di lavoratori a tempo determinato: oltre 600 mila dipendenti a contratto rischia di restare in mezzo alla strada. Lo stesso vale per mezzo milione di cococò. In totale, oltre un milione di persone, per cui la crisi significa solo un buco nero. “Senza indennità, senza pensione, senza liquidazione: se non mi rinnovano il contratto, come mangio il prossimo mese” si domanda angosciata Giovanna?

Il momento della verità arriverà nei prossimi giorni, a spegnere, per molti, il Natale. Un precario su dieci balla, infatti, proprio adesso, sulla corda. Dicembre è un mese come tutti gli altri, ma, a fine anno, per motivi burocratici, viene a scadenza il 40% in più dei contratti, rispetto agli altri mesi. Sacchi e i suoi colleghi hanno calcolato che, il 31 dicembre, oltre 300 mila precari, sui 3 milioni totali, si troveranno a rinnovare i loro contratti: 193 mila tempi determinati, 10 mila apprendisti, 16 mila interinali, 64 mila cococò. In tempi normali, l’84% degli interinali e il 50% dei collaboratori coordinati ottiene automaticamente il rinnovo. Ma questi non sono tempi normali. Ancora: in tempi normali, un interinale aspetta 9 mesi per trovare un nuovo posto, un cococò anche 19. Ma ora? “Boh” come dice Gianluca.

Questa è una crisi diversa dalle altre perché non colpisce, come avviene di solito, alcuni settori, alcune categorie più di altre. Questa crisi colpisce una classe di età, come ai tempi del militare. E’ la crisi dei “bamboccioni”, per dirla con Padoa-Schioppa. O, meglio, di quelli che, in questi anni, hanno trovato un lavoro. E’ la crisi dei giovani, perché è la crisi dei precari e il precariato è l’unica forma di lavoro che i giovani hanno trovato. L’interinale tipo ha 32 anni. Uno su due ha meno di 30 anni. Se la crisi sarà dura come dicono, un’intera generazione rischia di essere ributtata indietro, espulsa dal mercato del lavoro.

In affitto come interinali o somministrati, collaboratori coordinati e continuativi o a progetto, a tempo determinato, questi, e non altri, sono i lavori che hanno trovato ragazzi e ragazze usciti, negli ultimi anni, dalla scuola. “Almeno due terzi dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro ? dice Sacchi ? in questi anni sono avvenuti con contratti atipici”. All’Istat sono appena più prudenti: “sia nel 2006, che nel 2007 ? spiega Mario Albisinni ? il 45% delle nuove assunzioni è stato a carattere temporaneo”.

I numeri, qui, aiutano a raccontare la storia di questi anni. Fra il secondo trimestre del 2004 e il secondo trimestre del 2008, gli occupati sono aumentati del 5% e, fra questi, i lavoratori dipendenti dell’8%. Quanti, di questi ultimi, con un contratto a tempo indeterminato, di quelli normali, con pensione, Cig e liquidazione? Ci sono state oltre 800 mila assunzioni di questo tipo: i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di quasi il 6%. Ma, attenzione, è una faccenda da adulti. Quanti di questi nuovi contratti permanenti riguardano, infatti, giovani under 35? La risposta è che il numero di lavoratori sotto i 35 anni con un contratto a tempo indeterminato è, in realtà, diminuito. I bamboccioni in rotta per la pensione, rispetto a quattro anni fa, sono quasi mezzo milione in meno: un taglio del 9%.

E dove sono finiti? Fra i precari. I lavoratori dipendenti a carattere temporaneo sono cresciuti, negli ultimi quattro anni, da 1 milione 900 mila a quasi due milioni e mezzo. Oltre metà di questo aumento è dovuto agli under 35. Poi c’è poco meno di mezzo milione di cococò, formalmente lavoratori indipendenti, ma, lo dice anche l’Istat, in concreto dipendenti a tutti gli effetti. Tre milioni di precari. Sei su dieci hanno meno di 35 anni. Saranno loro i primi a subire l’impatto di una crisi che, dicono gli economisti, può essere la più grave degli ultimi settant’anni. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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