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I ricchi vogliono pagare le tasse e scavalcano a sinistra la sinistra.

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”, (dal blog di GAD LERNER).

E’ impazzito il plurimiliardario Warren Buffett, re degli speculatori, che spiattella sui giornali gli scandalosi benefici fiscali di cui gode negli Usa? Soffrono forse di masochismo, qui in Italia, un finanziere come Pietro Modiano e gli imprenditori Carlo De Benedetti (azionista di questo giornale), Luca Cordero di Montezemolo, Anna Maria Artoni, favorevoli alla promulgazione di un’imposta sui grandi patrimoni di cui sono detentori? Perché mai, di fronte al concreto rischio di collasso del sistema, non viene richiesta dai politici di sinistra una vera tassa sulla ricchezza, nell’interesse delle classi subalterne che dovrebbero rappresentare?

E’ davvero singolare questo mondo alla rovescia in cui sembrerebbe toccare ai “ricconi” occidentali illuminati pure il privilegio di indicare la retta via della perduta giustizia sociale. Non bastasse il loro dominio sull’economia, possibile che abbiano sequestrato pure la leadership dell’analisi sull’iniqua distribuzione delle risorse cui la politica sarebbe chiamata a porre rimedio?
Nessuno come loro è consapevole della sproporzionata ricchezza accumulata da pochi, nei decenni in cui la finanza ha assoggettato l’economia reale. Se dunque auspicano un inasprimento del prelievo fiscale sui detentori di grandi patrimoni, è innanzitutto per un motivo –diciamo così- pratico: l’aumento delle tasse negli Usa, o il pagamento di una cospicua “una tantum” in Italia, non inciderebbero significativamente sul loro tenore di vita, sui loro consumi, e neanche sulle loro attività imprenditoriali.

Suppongo poi che i “ricconi illuminati” favorevoli all’imposta patrimoniale traggano dalla personale autocoscienza di cui ci rendono compartecipi altri motivi di riflessione: uno morale e uno esistenziale.
Sul piano morale, credo siano ben consci di avere goduto di un boom tutt’altro che armonico, caratterizzato dal patologico acuirsi delle disuguaglianze di reddito. Se in passato potevano illudersi che la ricchezza crescesse anche intorno a loro, se non grazie a loro, oggi è evidente il contrario.

Sul piano esistenziale, mi spiego il favore manifestato da finanzieri e capitalisti illuminati per un’imposta patrimoniale come estrema forma di attaccamento al sistema che li ha generati prima di degenerare. Nessuno come loro, che ne sono gli emblemi, desidera il suo salvataggio.
Sconcerta la modesta attenzione prestata in Italia, dove lo scandalo dell’evasione fiscale rende ancora più evidente l’ingiustizia, e il debito pubblico rende più stringente la necessità, ai buoni argomenti della patrimoniale. Quasi nessuno ha riflettuto sui calcoli esposti l’8 luglio scorso, in una lettera al “Corriere della Sera”, dal finanziere Pietro Modiano (che pure si autocandidava a “vittima” della medesima imposta).

Un prelievo del 10% sui patrimoni (escluse le case e i titoli di Stato) degli italiani più ricchi, il 20% della popolazione, fornirebbe un gettito di circa 200 miliardi. Quasi cinque volte la manovra biennale del governo. Riporterebbe il debito in rapporto al Pil vicino al 100%, conseguendo un obiettivo irraggiungibile da molteplici leggi finanziarie. Gli interessi sul debito godrebbero di una riduzione di 8 miliardi l’anno. E gli italiani ricchi chiamati a sopportare questo sacrificio –non tale da intaccare il loro benessere- potrebbero essere ricompensati con detrazioni fiscali negli anni successivi.
Fantaeconomia? Ma non è forse già un’apocalittica sequenza di fantaeconomia quella che stiamo vivendo dall’estate del 2008?

Resta da capire come mai tale istanza di drastica redistribuzione degli oneri fra la minoranza dei ricchi e la maggioranza dei meno abbienti, non stia in cima ai programmi della sinistra. E’ vero che ora il Partito democratico propone un supplemento di tassazione sui capitali scudati da Tremonti a quote di mero realizzo. Ma, a parte la dubbia costituzionalità di un tale provvedimento, esso continua a rivolgersi solo agli esportatori della ricchezza, non al suo complesso.

Parrebbe che un leader progressista, sia pure il presidente degli Stati Uniti, figuriamoci il segretario di un partito della sinistra italiana, si senta condannato a escludere come temerario ciò che invece ha osato sbattergli in faccia Warren Buffett. Hanno paura di passare per socialisti (o comunisti). Si illudono che la loro autorevolezza derivi ancora dalla sottomissione alle regole di un sistema giunto allo sfascio, solo perché i rapporti di forza sono tuttora dominati dagli hedge funds e dalle banche d’affari che hanno contribuito a salvare. Restano al di fuori della loro immaginazione soluzioni radicali prospettate invece da chi in passato ha saputo approfittare della fragilità della politica.

Lo scetticismo con cui i mercati hanno accolto la manovra economica italiana, ma soprattutto i conflitti sociali che scaturiranno dalla crisi dell’economia reale, ben presto si incaricheranno, ahimè, di spazzare queste cautele. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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