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La crisi secondo Scalfari: “C’è di che aspettare col fiato sospeso che cosa accadrà domani nelle Borse asiatiche, in quelle europee e soprattutto a New York quando alle nove del mattino (le tre del pomeriggio per noi) si apriranno le contrattazioni a Wall Street.”

di EUGENIO SCALFARI- la Repubblica

LE TEMPESTE non vengono mai sole, ma una ne porta appresso un’altra. Si pensava che nella giornata finanziaria di domani il sole si sarebbe aperto un varco tra le nuvole nere dei giorni scorsi e che i mercati avrebbero respirato. Ma probabilmente non sarà così: l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato il debito americano. Non era mai avvenuto e gli operatori si aspettano il peggio in tutto il mondo a cominciare dal governo cinese che ha chiesto ad Obama con toni ultimativi di prendere drastiche decisioni per ridurre il disavanzo federale americano.

Non si era mai visto prima d’ora che uno Stato estero desse ordini alla Casa Bianca. Semmai accadeva il contrario. C’è di che aspettare col fiato sospeso che cosa accadrà domani nelle Borse asiatiche, in quelle europee e soprattutto a New York quando alle nove del mattino (le tre del pomeriggio per noi) si apriranno le contrattazioni a Wall Street. A quell’ora Piazza degli Affari a Milano sarà già da sei ore sull’Ottovolante. Forse ci sarebbe stata in tutti i casi perché la conferenza stampa di venerdì sera a Palazzo Chigi non era stata affatto rassicurante. Se l’America ha il raffreddore – si diceva un tempo – in Europa abbiamo la polmonite. Ma se la polmonite ce l’ha l’America, che cosa può accadere qui?
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In attesa degli eventi e per capire meglio i fatti nostri bisogna rievocarla quella conferenza stampa, i suoi antecedenti e quello che dovrebbe avvenire nel nostro piccolo ma per noi essenziale cortile di casa. Non è un insulto ma una constatazione: sembravano tre zombi quei personaggi appiccicati l’uno all’altro dietro quel tavolo, con l’aria imbambolata di pugili suonati dai pugni che hanno ricevuto.

Berlusconi spiegava alla platea dei giornalisti che l’Italia, cioè lui, erano tornati al centro dell’attenzione mondiale ed enumerava le telefonate ricevute da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Cercava le parole per spiegare le decisioni prese, in totale contrasto con quelle comunicate al Parlamento appena 48 ore prima. Ma non le trovava. Si capiva soltanto che per rassicurare i mercati aveva deciso di accelerare d’un anno la manovra. Il pareggio del bilancio previsto per il 2014 sarebbe avvenuto nel 2013. Così, con un colpo di bacchetta magica. I partner europei erano stati informati e anche gli americani e tutti avevano applaudito. I mercati erano un orologio rotto ma stavano producendo un sacco di guai. “Tremonti vi spiegherà i dettagli” così aveva concluso dopo dieci minuti.

Tremonti, poveretto, era più imbarazzato e incespicante di lui. Non sembrava più quel ministro sicuro di sé, sprezzante, arrogante che conosciamo da tempo. Faceva lunghe pause, arruffava le frasi, si correggeva, tradiva continui vuoti di memoria. A un certo punto Letta l’ha interrotto. In realtà non aveva nulla da dire Gianni Letta, ma voleva comunque far sentire la sua voce affinché fosse chiaro che esisteva anche lui. Ma dopo quell’improvvida interruzione Tremonti non trovava più il filo per riprendere il discorso.

Una scena pietosa, conclusa nel modo più involontariamente comico dal presidente del Consiglio il quale, annunciando che il governo non sarebbe andato in vacanza, ha detto: “Palazzo Letta resterà aperto per tutto agosto”.

Il giorno dopo è partito per la sua villa di Porto Rotondo. Un week-end rilassante evidentemente si imponeva.

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La verità è che il governo italiano, dopo il nerissimo giovedì con Piazza Affari a meno 5,16 maglia nera delle Borse mondiali e lo “spread” a quota 389, è stato commissariato. In un paese normale il premier e il suo governo si sarebbero dimessi, ma poiché la maggioranza Scilipoti esiste ancora, la soluzione dettata dall’Europa d’intesa con la Casa Bianca è stata il commissariamento.

Abbiamo ora un governo che deve eseguire gli ordini che gli vengono dati da Berlino e da Parigi tramite Barroso da una parte e Trichet dall’altra. Soprattutto quest’ultimo perché la Bce è il solo braccio operativo che l’Europa può usare nel tentativo di raffreddare i mercati.

Del resto è ormai ufficiale che l’atto di commissariamento è stato scritto e inviato al nostro presidente del Consiglio la mattina di venerdì con una lettera di Trichet controfirmata da Draghi che sarà a novembre il suo successore. In quella lettera sono fissate le condizioni: anticipare di un anno il pareggio del bilancio, iniziare da subito gli interventi per tagliare la spesa, avviare con decorrenza immediata interventi di stimolo per la crescita del reddito e dell’economia reale.

Per questa ragione quei tre personaggi dietro quel tavolo la sera di venerdì sembravano burattini mossi da fili tenuti da altre mani; appena due giorni prima avevano esposto con sussiego una politica economica che non si spostava d’un centimetro dal rovinoso immobilismo d’una manovra che aveva rinviato tutto di quattro anni. La maggioranza parlamentare aveva punteggiato di fragorosi applausi il discorso del premier. Il ministro dell’Economia, seduto alla sua sinistra, batteva anche lui le mani, felice della ritrovata armonia con il “boss”; il ministro degli Esteri, seduto alla sua destra, sottolineava gli applausi battendo la mano sul tavolo dei ministri.

Dopo un giorno e mezzo tutto ciò è stato capovolto. “È passato un mese e il mondo è completamente cambiato” ha detto Tremonti venerdì. È vero, è passato un mese, ma lui e tutta la banda mercoledì non se n’erano ancora accorti. Meno male che – non potendo dimissionarli – li hanno almeno commissariati. Ma purtroppo non basterà, polmonite americana a parte.

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Dal balbettio di Berlusconi e di Tremonti si è capito che proporranno nei prossimi giorni alle commissioni competenti di Camera e Senato due disegni di legge di riforma costituzionale da essi ritenuti fondamentali: la modifica dell’articolo 41 e quella dell’articolo 81.

Il primo stabilirà, una volta modificato, che i cittadini sono liberi di assumere ogni tipo di iniziativa salvo quelle vietate dalle leggi. Si tratta di una pura ovvietà ma il veleno sta nella coda: spetta agli interessati autocertificare che non vi sono leggi che vietano le iniziative intraprese. La pubblica amministrazione farà controlli ex post. Dire che si tratta d’un potente incoraggiamento all’illegalità è dir poco.

Quanto all’articolo 81, si tratta di introdurre in Costituzione il pareggio del bilancio come principio inderogabile “salvo specifiche condizioni di emergenza” (terremoti, guerre, eccetera). Non si spiega però se il pareggio riguarda il bilancio preventivo o quello consuntivo o tutti e due. Ma c’è un’altra condizione non ancora detta però ventilata: che la spesa non possa superare il 45 per cento del Pil salvo un voto parlamentare a maggioranza qualificata.

Se passasse una riforma costituzionale del genere il tetto alla spesa che Obama ha a stento superato per evitare il default sarebbe uno scherzo: scomparirebbe ogni politica economica, ogni programma di investimento, ogni politica fiscale di redistribuzione del reddito, ogni politica estera, ogni politica della difesa ed ogni autonomia locale. Il governo sarebbe affidato non al Parlamento ma alla Corte dei conti e alla Ragioneria dello Stato.
Non credo che iniziative del genere troveranno appoggio nell’opposizione e faciliteranno coesione sociale. Comunque ci vorrà un anno prima che l’iter parlamentare sia completato e ancor più se sarà necessario il referendum confermativo. Pensate che i mercati nei prossimi giorni si calmeranno per l’effetto di annuncio di questi due sgorbi di riforma costituzionale?

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Questi sono i preamboli, poi viene la sostanza: un anno di anticipo per realizzare nel 2013 l’obiettivo del pareggio del bilancio, ferma restando la manovra così come fu approvata in tre giorni un mese fa (ma forse bisognava esaminarla meglio invece di guardare soltanto l’orologio).

La manovra ammonta a 48 miliardi così distribuiti: tre miliardi nel 2011, cinque nel 2012, venti e venti nel biennio successivo. Se tutto viene anticipato d’un anno il nuovo calendario dovrebbe prevedere otto miliardi immediati in quest’esercizio, venti e venti nel biennio successivo. È realizzabile questo programma? I tre zombi venerdì non sono entrati nel dettaglio. I poteri esteri che li hanno commissariati neppure, i mercati nulla sanno e i contribuenti meno ancora, ma è evidente che nelle prossime 48 ore questi dettagli dovranno essere forniti.

La logica suggerisce che i tagli per otto miliardi del 2011 e i venti del 2012 debbano essere effettuati con un’unica visione. L’esercizio in corso è agli sgoccioli ma lo sfoltimento delle prestazioni assistenziali è già previsto nella manovra. Si tratta di renderlo operativo con l’immediata approvazione della legge delega su quei trattamenti.

Nel totale ammontano a 160 miliardi. La macelleria sociale accennata da Tremonti prevede riduzioni discrezionali del 5 per cento il primo anno e il 10 nel secondo con speciale attenzione alle pensioni di invalidità, agli accompagnamenti degli invalidi e alla reversibilità pensionistica. Il 15 per cento di 160 miliardi fa 24 miliardi. Più i ticket già operativi e le accise già in corso. Su quali ceti si scarica questo peso?

In tempi di buriana una dose di macelleria sociale è inevitabile purché sia affiancata dall’equità. È evidente che se tutto il peso è concentrato sul capitolo dell’assistenza, l’equità scompare. Dunque colpire solo l’assistenza è impensabile. Altrettanto impensabili sono le baggianate alternative di Di Pietro che pensa all’abolizione delle Province come un toccasana. Quanto a Casini, ha detto che se le proposte sono efficaci le voterà. Nei prossimi tre giorni ne conoscerà anche lui i dettagli e vedremo la sua risposta.

Ma la vera domanda è questa: si arriverà al pareggio del bilancio entro il 2013? Bisognerà affrontare la seconda “tranche” della manovra, cioè gli altri 24 miliardi. Si può mettere in esecuzione la prima tranche senza nulla sapere della seconda, basata interamente sulla riforma fiscale?

Lo chiederanno le opposizioni, le parti sociali, le Regioni e i Comuni. Ma lo chiederanno soprattutto i mercati e finché non lo sapranno è difficile sperare che si fermeranno. Sempre polmonite americana a parte.

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Torniamo ancora un poco alla polmonite americana. Riguarda la diminuzione del debito federale? Riguarda il tasso di cambio del dollaro? Riguarda gli spintoni della Cina?

Soltanto in parte. Vorrei dire in piccola parte. La polmonite americana proviene dai segnali di recessione, dalla caduta della domanda. Ma quella caduta sta avvenendo nel mondo intero e in Italia più che mai.

Per questo i mercati si sentono insicuri e picchiano sui debiti sovrani. Ma se al necessario rigore non si affianca la crescita, la polmonite non guarisce, diventa acuta, purulenta e alla fine attacca il cuore.

Infatti i nostri “lord protettori” hanno chiesto rigore e crescita. Ma la crescita ha bisogno di risorse. Si cresce alimentando il potere d’acquisto, stimolando la domanda, rilanciando i consumi, finanziando investimenti. Si cresce abbassando l’Irpef dei redditi medio-bassi e l’Irap sulle imprese. Si cresce spostando il peso dalle spalle dei meno abbienti a quelle più forti. Si cresce abbattendo l’evasione, generalizzando lo scarico dell’Iva in tutti i passaggi. L’articolo 41 della Costituzione non è la madre delle liberalizzazioni ma soltanto un aborto propagandistico.

Si cresce tassando il patrimonio non con un “una tantum” ma con un sistema fiscale adeguato.
Non illudetevi che sia sufficiente l’intervento della Bce a sostegno dei titoli italiani (e spagnoli). Soltanto un altro zombi come Bossi può pensarlo.

La Bce è intervenuta nei mesi scorsi e ancora l’altro ieri acquistando titoli greci, irlandesi e portoghesi, per 74 miliardi. Equivale all’incirca al 20 per cento di quei debiti. Se dovesse applicare quella stessa percentuale per l’Italia dovrebbe acquistare titoli per 400 miliardi e arriverebbe a 700 con la Spagna. È impossibile. Equivarrebbe a europeizzare un quinto dei debiti sovrani d’Italia e di Spagna. E gli altri paesi resterebbero a guardare?
Bisogna battere la recessione e rilanciare la crescita. Il resto sono chiacchiere e non bloccano i mercati.(Beh, buona giornata)

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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