Una gelida ventata di licenziamenti ha attraversato le agenzie di pubblicità italiane in prossimità di queste vacanze invernali. La crisi pensa più velocemente dei manager: sarà perché forse leggono poco i giornali, sarà perché forse evitano le trasmissioni televisive “ansiogene”, fatto sta che nei dieci giorni precedenti al Natale sono andati perduti decine e decine di posti di lavoro nello stesso lasso di tempo, con la stessa frettolosa decisione. Che le cose sarebbero andate così come sono poi andate era ben chiaro da mesi. Ciononostante, abbiamo assistito, non senza stupore, a varie e insistenti dichiarazioni rese alla stampa di settore da importanti manager di agenzie italiane nelle quali si diceva che non c’erano problemi, che tutto andava bene. Un perdita talmente secca del senso della realtà non si era mai verificato in modo così evidente. Poi la verità ha preso il sopravvento su piccole strategie comunicative.
Non è mai stata una novità nel mercato della comunicazione commerciale il fatto che alla perdita di un budget corrispondesse la perdita di lavoro di creativi e addetti al contatto col cliente, tuttavia questa volta si è verificata una dose inconsueta di sadismo: una agenzia tra le prime dieci in Italia ha comunicato il licenziamento agli interessati via telefono; un’altra lo ha fatto all’indomani della festa aziendale, inaugurando un rituale che potrebbe essere definito “stasera brindo con te, domattina ti sbatto fuori”. Si hanno notizie, nonostante la cortina di silenzio che si è innalzata tra l’omertà dei manager e il pudore degli interessati, di tagli consistenti a tutti i livelli, in ogni ordine e grado, tra le grandi e le piccole agenzie che compongono il mercato della pubblicità italiana.
Quando, appunto, la verità è venuta a galla, nonostante proclami di buona salute finanziaria che alla luce dei fatti suonano viepiù grotteschi si è finalmente capito che la crisi ha esondato perché le agenzie sono state completamente impreparate ai nuovi scenari economici; che la crisi ha travolto gli argini perché i livelli di cultura professionale erano fradici e pericolanti; che la crisi ha alluvionato giovani talenti, tra i quali molte giovani donne perché le agenzie italiane non si sono rinnovate in tempo. Quando non si vogliono vedere i nodi che vengono al pettine, è il pettine che viene ai nodi e li strappa con dolore, invece che scioglierli.
Esistono responsabilità personali tra coloro che dirigono le agenzie, non fosse altro perché la sola cosa che sono stati capaci di fare è stato tagliare tutto, tranne che i propri emolumenti. Cionondimeno le responsabilità collettive sono ancora più evidenti. La pubblicità italiana, avvitata su sé stessa ha smaccatamente rinunciato a essere uno strumento valido, efficace e duraturo per aiutare le aziende a resistere alla crisi e a prepararsi alla ripresa. Quelli che dovevano far vedere come si fa, hanno semplicemente dato il peggio di sé.
Se gli utenti della pubblicità italiana, gli investitori nella comunicazione commerciale avevano dubbi sulla effettiva capacità delle rispettive agenzie, oggi sembrano maturare la certezza che così come è organizzato il mercato della comunicazione in Italia l’agenzia di pubblicità vale poco, per non dire che serve a niente.
Anzi, l’agenzia di pubblicità così come la conosciamo in Italia sembra confermare in pieno le scelte di quegli imprenditori che da tempo hanno deciso di pagare sempre meno le loro agenzie. La perdita di autorevolezza ha fatto spazio alla mancanza di fiducia, la mancanza di fiducia ha raffreddato la propensione agli investimenti, la crisi degli investimenti ha ridotto l’agenzia da azienda di servizi a incerto fornitore di servigi.
Con quale risultato? Proprio quello che si legge nelle misere cifrette che annaspano sotto la bottom line dei fogli elettronici che avvelenano il sonno dei direttori finanziari. E’ inutile nasconderselo: quest’anno la pubblicità italiana nella stragrande maggioranza dei casi non è riuscita nemmeno nell’obiettivo del break even.
Sarebbe troppo comodo dare la colpa alla crisi che attraversa l’economia reale, dopo aver fatto scempio di quella finanziaria. Comunque, non risolverebbe il problema. Perché l’elenco degli errori esiziali è tanto lungo quanto noto, da ben prima si appalesasse l’attuale crisi. L’agenzia di pubblicità “classica” dopo aver distrutto cultura professionale, sta distruggendo valori economici e, come logica conseguenza, distrugge talenti e azzera posti di lavoro.
Chi ha pensato di essere così furbo da fare profitti senza produrre idee, ha scoperto che senza idee si fanno solo perdite.
Il sistema-paese avrebbe bisogno di una spinta innovativa nella comunicazione commerciale. Lo chiedono le imprese, lo avvertono i consumatori: ci vuole una spinta che sappia attraversare il nostro sistema dei media, riorganizzare i centri di produzione di idee; urge un nuovo modo di fare e di pensare la pubblicità, che sappia essere il centro motore di un forte e complessivo rinnovamento.
Le nostrane agenzie di pubblicità non ne sono capaci. Chi è causa della crisi non può essere la soluzione della crisi che ha oggettivamente (ma anche soggettivamente, sia chiaro) contribuire ad aggravare. Ci sono ovviamente brillanti e solitarie eccezioni, ma che, come tutte le eccezioni confermano la regola.
Sono proprio quelle eccezioni, però, che ci dimostrano che è urgente un cambio di punto di vista, la prefigurazione di nuove prospettive, sia nel pensare che nell’agire. La concomitanza tra la crisi ambientale, la crisi energetica e la crisi finanziaria globale è stata definita “la tempesta perfetta” da Jeremy Rifkin. Dobbiamo prendere seriamente in considerazione che la crisi dell’informazione mondiale è la “quarta crisi” che si aggiunge alla tempesta perfetta. Le implicazioni con la democrazia e il rapporto con l’opinione pubblica che la “quarta crisi” porta con sé meritano un approfondimento in altra sede. Qui basti ricordare che anche i consumatori fanno parte dell’opinione pubblica, raggiunta a vario titolo dai media. Se i media classici sono in crisi da tempo, la pubblicità, che è nata e cresciuta all’interno dei media non può che subire e pagare il suo tributo alla “quarta crisi”.
Allora non c’è che da rimboccarsi le maniche e dare vita a un agenzia di “nuova generazione” che sappia raccordare i messaggi commerciali delle aziende con il sentimento comune dei cittadini- consumatori, con i quali costruire nuove relazioni, utilizzando tutti gli strumenti, tutti i veicoli, in una piattaforma multicanale e convergente che sappia fare delle nuove tecnologie le proprie fondamenta. Sulle quali rifondare cultura professionale, liberare intuizioni, creare un ambiente favorevole alla creatività pubblicitaria e a lungimiranti strategie di marketing.
Fuori dalle pastoie delle agenzie “classiche” ci sono concrete possibilità che la “quarta crisi” sia il luogo favorevole per dare vita all’agenzia di “nuova generazione”. Perché idee forti e nuove siano creative di scenari, più ricchi e promettenti per le aziende, per i consumatori, per il mercato. Beh, buona giornata.
p.s.: a tutti i lettori ‘guri (pare che in tempi di crisi bisogna tagliare).
2 risposte su “Il Solstizio d’Inverno della pubblicità italiana.”
e la ‘ruzione ?
Caro Marco, se fossimo riusciti a dirci queste cose già nel 94, ai primi sgretolamenti di una lenta frana che sarebbe continuata fino ad oggi prendendo l’abbrivio finale solo ora, forse avremmo salvato dalla crisi la pubblicità. Forse avremmo contribuito a salvare l’economia italiana. Forse, ma forse, non ci sarebbero stati i licenziamenti di oggi. Invece no. Quell’anno scrissi per Castelvecchi “La morte della pubblicità” perché tutto questo era già prevedibilissimo. Mi stupisco, anzi, che sia avvenuto così in ritardo. Occorre ahimè azzerare tutto prima di parlare di nuova pubblicità. Siamo in un Paese in cui non esiste cultura d’impresa, non si fa vero marketing, e la pubblicità continua ad essere vista come spesa superflua, non come investimento. I dirigenti d’agenzia sono soltanto dei parassiti che hanno ancora in testa i facili ladrocinii degli anni 80 e nessun modello di innovazione. Dead men walking. Comunque, buona giornata. E buon anno.