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“Atomausstieg”, ovvero facciamo come la Germania, abbandoniamo il nucleare. Ecco un buon motivo per andare a votare sì.

Atomo, addio, di Riccardo Valsecchi- Avvenire dei Lavoratori

Ripristinando la decisione assunta dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder, l’attuale cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha deciso che la Germania rinuncerà all’energia nucleare. Il tema scompare così dai programmi di tutti i partiti presenti nel Bundestag. La terza potenza industriale del mondo avvia la sua fuoriuscita dall’atomo.

“Atomausstieg”, abbandono del nucleare: una parola, un sogno, uno slogan politico che oggi, dopo 42 anni dall’apertura del primo reattore atomico per uso commerciale sul territorio tedesco, pone una data definitiva, il 2022, per la chiusura del programma nucleare in Germania. A dare l’annuncio, lunedì scorso, dopo una notturna riunione tra i partiti di maggioranza, il ministro dell’ambiente Norbert Röttgen.

Il futuro dei 17 reattori attivi sul territorio è, come ha scandito il segretario dell’Unione Cristiano Sociale (CSU) Horst Seehofer, “ir-re-ver-si-bi-le”: chiusura immediata degli otto impianti più vecchi, scadenza al 31 dicembre 2021 per altri sei reattori e data finale di uscita dal programma nucleare fissata al 31 dicembre 2022 con la chiusura delle tre centrali Isar 2, Emsland e Neckarswestheim 2.

Una decisione, in realtà, che ripristina i limiti imposti dalla legge sul nucleare del 2002, approvata dall’allora governo SPD-Verdi e soppiantata non più di otto mesi fa da un decreto dell’attuale governo Merkel che prolungava l’attività nucleare per altri 14 anni.

Poi Fukushima e le successive sconfitte elettorali in Baden-Württemberg e Brema hanno imposto un drammatico dietrofront alla maggioranza. Oggi la Germania è la prima potenza industriale non solo che rinuncia in maniera definitiva all’uso del nucleare, ma che cancella l’aggettivo dal programma di tutti i partiti presenti nel Bundestag, di qualsiasi colore e posizione politica essi siano.

Ma, nonostante ciò, le polemiche non mancano.
Il mercato nucleare tedesco è attualmente dominato principalmente da tre colossi: E.ON, che detiene 6 dei 17 impianti attivi – più partecipazioni azionarie in altri quattro -, RWE, che possiede 6 reattori, ed EnBW, l’azienda pubblica del Baden Württemberg che gestisce i 4 impianti localizzati sul proprio territorio. L’impianto di Brunsbüttel, invece, è di proprietà per il 67 % della società svedese Vattenfall e per il 33% di E.On
Secondo Wolfgang Pfaffenberger della Jacobs University di Brema, gli otto reattori nucleari in chiusura forniscono attualmente guadagni per oltre 1,5 miliardi di euro e vendite per circa tre miliardi di euro l’anno. La totalità dei 17 impianti in funzione creerebbe circa quattro milardi di euro di profitto annuo, per un giro d’affari di 7,5 miliardi. Il solo gruppo E.ON, secondo una valutazione interna, avrà, come conseguenza della chiusura immediata di tre degli impianti attivi, una perdita sull’utile di circa il 30%.

Ad aggravare la situazione, l’imposta fiscale che dal gennaio 2011 impone il pagamento di 2,3 miliardi annui sul combustibile nucleare per la produzione commerciale di energia.

Gli analisti della Landesbank Baden-Württemberg valutano, nel complesso, una perdita di valore per E.On e RWE di circa il 6% e l’11%, con conseguente esposizione dei due giganti energetici alle mire espansionistiche dei rivali stranieri EFD e Gazprom.
Se le prospettive future per le due aziende appaiono tutt’altro che rosee, meglio non va per le municipalità dove hanno sede gli impianti.
“Ci aspettiamo un deficit annuo di circa tre milioni di euro” ha spiegato il tesoriere di Neckarwestheim, nel Baden-Wuerttemberg. “EnBW – la compagnia che controlla l’impianto locale – è il più grande contribuente della zona.”

A Phillipsburg il sindaco Martus (CDU) è rimasto anch’egli perplesso: “Grazie alle tasse pagate dal gestore dell’impianto EnBW la nostra piccola cittadina di 12.600 abitanti si è potuta permettere un ginnasio, una scuola secondaria e una scuola speciale.” Secondo il sindaco, Phillipsburg dovrebbe comunque rimanere in futuro un centro d’infrastrutture energetiche, in virtù dell’impianto solare costruito a ridosso della cittadina e inaugurato quest’anno – con 87.500 metri quadrati di pannelli, il più grande impianto solare sul territorio tedesco -.

Hildegard Cornelius-Gaus è il sindaco di Biblis in Assia, dove sono localizzati due reattori RWE. Mercoledì scorso, in una conferenza stampa, ha ricordato lo scompenso fiscale dovuto alla chiusura degli impianti: “L’impianto nucleare comporta più del 50 per cento delle nostre entrate fiscali.” La centrale locale, di proprietà RWE, dà lavoro a più di 1.000 persone e, secondo RWE, garantisce inoltre annualmente all’intera regione metropolitana del Rhein-Neckar-Kreis, tra attività correlate, strutture commerciali e alberghiere, circa 70 milioni di euro.

Le polemiche non si sono esaurite all’interno del confine nazionale. Sebbene, infatti, la decisione di Berlino abbia riacceso i focolari della speranza di un futuro antinucleare negli ambienti ecologisti di tutta Europa, i governi in carica con programmi già attivi sul proprio territorio, dalla Spagna fino alla Finlandia, passando per Francia, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Polonia, si sono affrettati a precisare, intimoriti dall’eventuale boomerang mediatico, che la scelta della Germania non avrebbe avuto alcun effetto sulla loro politica energetica.

Il Commissario Europeo per l’energia, Guenther Oettinger, ex Presidente dei Ministri dello Stato del Baden-Württenberg, ha dichiarato in una conferenza a Vienna lunedì scorso che “la politica tedesca funzionerà solo se ci saranno dei miglioramenti strutturali, maggiori capacità di stoccaggio e più consistenti investimenti nelle nuove energie.” Ha poi aggiunto che “il nucleare continuerà a giocare un ruolo importante in Europa, dato che Paesi come la Francia sono estremamente dipendenti da esso, ma dopo la decisione di Berlino il gas – con tutto ciò che comporta in quanto a dipendenza energetica dall’estero – diventerà il vero fattore guida nella crescita.”
(Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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