“Per il mio Paese faccio sacrifici. Che non mi troverei a fare se fossi un privato cittadino”. Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nella conferenza stampa a palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri. “Mi hanno chiesto a che punto erano i miei denti (dopo l’aggressione di Milano, ndr). Non sono ancora riuscito a mettere l’altro dente perché – ha spiegato – ho il nervo scoperto che non guarisce. E questo per me è un sacrificio grande, un rischio a cui sono andato incontro e che, se fossi stato un privato cittadino, non avrei corso. A questo punto il presidente del consiglio ha mostrato, a bocca aperta, il dente mancante ai giornalisti.
Questo è un lampante esempio di pubblicità-intrattenimento: il prodotto si mostra al pubblico, cercando di stupire, di spiazzare. Siamo proprio sicuri che questo sia il futuro dell’advertising? Lo chiedo non solo perché la stragande maggioranza dei consumatori italiani sanno bene quanti ‘sacrifici’ bisogna fare per pagare il conto del dentista. Ma lo chiedo a chi sostiene che il futuro dell’advertising sia intrattenere e non invece informare sulle virtù della marca, attraverso gli espedienti dell’esagerazione, del rovesciamento, dell’iperbole tipici del linguaggio della pubblicità. Quegli espedienti che sono convincenti proprio perché dichiaratamente sono pubblicitari, dunque innocui, non invasivi, in definitiva accettabili. La pubblicità cerca affetto, stima, atteggiamenti positivi, come ci insegnava Pirella.
Se la pubblicità diventa coercizione del consenso sprofonda nella propaganda. La propaganda è un assordante rumore di fondo. La pubblicità è la costruzione della reputazione, esercitata attraverso il rendere pubblico le qualità dei prodotti, il talento dei marchi. Con irriverenza, ma buon gusto. Ecco perché l’intrattenimento è attività effimera, mentre la pubblicità è una cosa concreta. Insomma, tanto per rimanere in tema, sarebbe come avere il pane, ma non i denti. Beh, buona giornata.