Che hanno deciso i venti capi di stato e di governo riuniti a Washington lo scorso week end? Niente. Anzi no. La riunione ha deciso di convocare una altra riunione, alla fine di Marzo 2009.
Di fronte alla peggiore crisi finanziaria ed economica mai vista, il G 20 ha dimostrato di avere le carte in regola: chiacchiere, distintivi e arrivederci a Pasqua. Delusi? Ma no. A parte Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia in Italia, ma che a Washington rappresentava una importante organismo internazionale, a nome del quale ha detto, papale papale, che non è che l’inizio, perché la crisi sarà ancora peggio delle previsioni, tutti i rappresentanti dei paesi detentori dell’80 per cento della ricchezza mondiale sono usciti dal G 20 abbastanza rinfrancati: nella dichiarazione finale si legge un franco e leale “mal comune, mezzo gaudio”.
La qual cosa è comprensibile. Fatte le debite differenze, tutti i venti del G 20 sono rappresentanti di paesi che li hanno mandati al governo nell’era matura del neoliberismo economico, hanno vinto elezioni con lo slogan “meno stato, più mercato”. Non è che adesso, così, di punto in bianco possono cambiare idea. Ognuno aspetta che siano gli altri a fare la prima mossa: va avanti tu, che a me scappa da ridere.
Il più sorridente di tutti era il padrone di casa: Bush sembrava Totò nella famosa gag, che finiva con la celebre frase: “Che me ne frega a me, che sono Pasquale, io?”. La crisi può attendere: il 20 Gennaio si insedia Barak Obama. Ha voluto la bicicletta, che se la pedàli lui.
Nel frattempo, consumatori di tutto il mondo, unitevi: stringete la cinghia e sperate in bene.
Da noi, sono stati annunciati 80 miliardi di euro di misure anticrisi. Annunciati, mica stanziati. In queste ore si sta facendo il processo alle intenzioni dello stanziamento annunciato. Siamo alle solite: io annuncio, tu discuti sull’annuncio e alla fine io faccio quello che mi pare, con la “gagliardia di un ventenne”.
Una cosa, fin qui è chiara: il governo italiano aveva promesso misure entro Natale. Per il momento le ha annunciate, ha mantenuto la promessa dell’annuncio annunciato. Che è la cifra stilistica che va per la maggiore, non solo in Italia, stando a quanto pare sia successo anche al G 20.
E allora, suvvia, bando alle ansie, basta analisi catastrofiche, finiamola con le fosche tinte. Temi per il tuo posto di lavoro? Non ce la fai a pagare i mutui? Stai riducendo ai minimi storici la tua capacità di consumare? Hai la sensazione che ti stiano rubando il futuro? Fa come hanno fatto al G 20: rimanda tutto a fine marzo 2009.
Siate ottimisti, per dio: quest’anno, invece che i regali di Natale, scambiatevi direttamente gli auguri di Buona Pasqua. Beh, buona giornata.
Una risposta su “G 20, il summit che convocò un altro summit.”
Brad Setser (uno dei più autorevoli blogger (link in fondo) in materia di geoeconomics) non sembra essere d’accordo col tuo giudizio:
The G-20’s communiqué offered a surprisingly robust work program for regulatory reform. MIT’s Simon Johnson even worries that it may be too robust – and push banks to scale back their lending in a pro-cyclical way. I am a little less worried about this risk. I assume regulators recognize that a sensible macro-prudential regulatory framework requires raising capital charges in good times (to lean against the boom), not forcing banks to squeeze lending to conserve capital in bad times.
The G-20’s ability to reach agreement on a detailed work program on regulatory reform – just think, the US President has signed off on an effort to evaluate whether compensation practices in the financial sector contributed to excessive risk taking — presumably reflects the groundwork done by the Financial Stability Forum. Many of the G-20’s proposals reflect reforms that key countries have already agreed on there.*
It also reflects another reality: agreement on regulatory changes only required a deal among the G-7 countries, not a deal between the G-7 and the emerging world.
http://blogs.cfr.org/setser/2008/11/17/g-20-post-mortem/
(questo è sul sito del council on foreign relations, non fatevi scoraggiare dall’altro blogger presente: Amity Shlaes che ho proposto come “most stupid journalist alive” nel 2006).