Genitori, scolari, alunni, studenti, universitari, bidelli, professori, ricercatori e rettori: sono disinformati, come sostengono dalle fila della maggioranza che sostiene il governo o molto preoccupati per il futuro, come sostengono quelli che stanno protestando in tutta Italia?
Chi ha sentito le parole nelle assemblee, gli slogan nei cortei, chi ha fatto un giro sul web alla ricerca dei contenuti della protesta sa bene che l”onda anomala”, come si autodefinito il nuovo movimento studentesco è tutt’altro che disinformato e sprovveduto. Comunque, abbiamo fatto quello che è stato chiesto da più parti, siamo andati a leggere il Decreto “Gelmini”.
In effetti, il provvedimento in questione si occupa per lo più della scuola elementare e media inferiore: reintroduzione del voto in condotta; ripristino, per quest’anno facoltativo, del grembiule nelle elementari; possibilità, a giudizio del consiglio di classe di bocciare lo studente anche con una solo insufficienza; diminuzione, nel modulo del tempo pieno delle ore di insegnamento da 40 a 24 settimanali; reintroduzione del maestro unico.
Le famiglie e gli insegnanti elementari si sono subito preoccupati della diminuzione dell’orario, paventando il pericolo della fine del tempo pieno, che ha fatto delle scuole elementari italiane un modello pedagogico e didattico in Europa. A nulla è valso argomentare che non si sarebbe trattato della fine del tempo pieno, evento che inciderebbe seriamente nell’economia, del tempo e del denaro, delle madri lavoratrici. Anche perché gli argomenti a sostegno delle misure contenute nel Decreto “Gelmini” sono stati avanzati dopo l’approvazione del decreto in questione e non prima: col senno di poi, utile sarebbe stato un normale svolgimento del dibattito parlamentare e il coinvolgimento delle parti sociali interessate, che invece si sono trovati davanti a un fatto compiuto.
Fatto sta che si è innescata la protesta degli esclusi dalle decisioni, in concomitanza con la riapertura dell’anno scolastico e accademico 2008/09. La protesta ha portato alla luce che in effetti non solo la scuola elementare, ma tutta la filiera dell’istruzione pubblica sarebbe stata interessata da tagli di bilancio, da qui ai prossimi anni, come si evince leggendo gli altri provvedimenti assunti in materia di istruzione pubblica, provvedimenti “spalmati” nella legge finanziaria, nella legge 133, nella legge 137.
La lettura di questi provvedimenti è apparsa subito un combinato disposto di tagli progressivi, da cui appaiono, per il momento immuni, solo le scuole medie superiori, le quali sono, semmai, sottoposte al regime di “accorpamento” edilizio: istituti con pochi alunni vengono accorpati in altri istituti, per creare economie delle spese generali ed edilizie.
Su questo versante, per altro anche alcuni enti locali, regioni e provincie, hanno sollevato conflitti di attribuzione, essendo, come è noto, competenti per legge in materia di edilizia scolastica e di manutenzione ordinaria degli immobili allo scopo adibiti. E’ noto che anche i licei stanno partecipando alle attuali proteste: c’è una proiezione psicologica verso il loro futuro universitario, ove è noto il taglio di oltre un miliardo di euro e il blocco del turn-over, che riguarda soprattutto i docenti precari. E’ vero che nel Decreto “Gelmini” non si prevedono veri e propri tagli di bilancio ( a eccezione del taglio delle ore degli insegnanti, che porta con sé un taglio degli organici), e che questi sono in realtà contenuti negli altri già citati provvedimenti.
Ma è anche vero che non siamo in presenza di una riforma organica, come tante volte si è provato a fare: ogni ministro dell’istruzione in carica negli ultimi governi ha fatto la sua riforma, riforma riformata dal suo successore. E forse il problema sta proprio qui: i tagli sembrano certi, il futuro della scuola pubblica italiana incerto. A meno che non si recepiscano gli appelli a riaprire un vero confronto, come sollecitato dal Presidente della Repubblica giorni fa, dall’opposizione parlamentare e in queste ore da “Famiglia cristiana”, che recependo le voci della protesta, chiede il ritiro immediato del decreto, che è attualmente in discussione al Senato e potrebbe essere approvato, in via definitiva nelle prossime ore.
Dal punto di vista politico, l’onda anomala ha creato una situazione di crollo del consenso nei confronti del governo Berlusconi, che secondo Renato Mannheimer è andato giù in queste settimane di ben 18 punti percentuali. Questo spiega perché alcune minacce, atteggiamenti improntati al nervosismo e una certa dose di arroganza sono la cifra del comportamento della maggioranza di governo. Questo spiega anche il ritorno sulla scena politica dell’opposizione, risorta dalle macerie della sconfitta elettorale dello scorso aprile.
Dal punto di vista sociale, l’onda anomala ha portato alla luce il grande disagio creato dalla crisi dei mutui, con il corollario dell’incipiente arrivo della recessione economica. Più in generale ciò che appare in crisi è il modello “meno stato, più mercato”, mentre le teorie e le pratiche neoliberiste sembrano mostrare la corda: la domanda spontanea che migliaia, milioni di cittadini italiani si sono fatta in questi giorni è stata: perché aiutare le banche e non anche lo stato sociale, gli stipendi, i consumi?
La risposta è venuta proprio dall’onda anomala: lo slogan “La crisi non la paghiamo noi” ha messo il dito sulla piaga del diffuso scontento tra l’opinione pubblica. Un recente sondaggio dice che il 50 per cento degli italiani è a favore della protesta degli studenti.
Con la sua carica di freschezza, tranquilla fermezza e creatività politica, l’onda anomala ha rimesso in moto il dibattito politico e sociale in Italia. Il che è buono, bello e importante. Beh, buona giornata.