La crisi finanziaria rischia di togliere, entro la fine del 2009, l’impiego a 20 milioni di lavoratori nel mondo. E’ l’allarme che ha lanciato in queste ore Juan Somavia, il direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
I settori più colpiti sarebbero quello delle auto, la finanza, i servizi, l’edilizia e il turismo. “Non è solo una crisi di Wall Street, ma una crisi che interessa tutto il mondo”, dice Somavia, che sottolinea che è necessario un piano di salvataggio che sia concentrato sull’economia reale e sulle questioni sociale.
Per il direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro è necessaria un’azione rapida e coordinata dei governi per prevenire una crisi sociale che rischia di essere “severa, lunga e globale”. A rendere ancor più preoccupante lo scenario il fatto che la crisi potrebbe colpire soprattutto i più “vulnerabili”.
Chi sono i vulnerabili ce lo ha detto un paio di giorni fa la Caritas italiana che stima intorno ai 15 milioni le persone che in Italia sono poveri o sulla soglia della povertà. Considerando che la popolazione italiana è composta da circa 57 milioni di abitanti, quindici milioni si traduce in una percentuale molto, troppo alta di persone vulnerabili alla crisi economica.
Insomma, come previsto anche dagli analisti economici più moderati, le conseguenze dell’esplosione della bolla dei mutui stanno deflagrando sull’economia reale, cioè sulla produzione, la commercializzazione e i consumi.
Le misure contro la crisi che i governi stanno prendendo, o per meglio dire stanno discutendo di prendere, riguardano il salvataggio delle banche e il sostegno ad alcune industrie, prima fra tutte l’industria delle auto. Non è nell’agenda dei governi, per il momento alcun provvedimento a favore delle famiglie, del lavoro dipendente, delle piccole imprese.
Barak Obama ha presentato un piano su questi temi, ma è stato tacciato di essere “socialista” dal suo avversario, John McCain. Sarà la vis polemica della campagna elettorale, ma il fatto che non si prendano seriamente in considerazione le questioni sociali sollevate dalla crisi è grave e preoccupante.
Come in Italia, dove il Partito democratico ha presentato proposte simili, che non sembra siano entrate neppure nella polemica tra i due schieramenti, di cui quotidianamente televisioni e giornali ci fanno cortese omaggio.
Sarà, come dice l’Authority per le comunicazioni, che in Italia le reti televisive fanno smaccatamente il tifo per il governo in carica, fatto sta che sembrerebbe che l’opinione pubblica sia più preoccupata del caffè di mezza mattina di un impiegato pubblico “fannullone”, piuttosto che del ritorno del grembiulino a scuola, per non dire dell’amore mercenario nelle pubbliche vie.
Insomma, “il welfare del ricchi”, come Zygmunt Bauman ha definito il salvataggio delle grandi banche fallite per l’ingordigia dei mutui e l’avidità dei manager ha più successo dell’idea di un nuovo welfare a favore dei lavoratori e dei consumatori.
Bauman ha descritto un possibile scenario grottesco: lo stato dà soldi alle banche che così possono continuare a finanziare l’indebitamento perpetuo delle famiglie.
Se ci spostiamo sul terreno dell’economia reale in Italia, apprendiamo che, per esempio il governo ha intenzione di sostenere l’industria dell’auto con la “rottamazione”di vecchi modelli a favore di nuovi, in modo da incentivare l’utilizzo di quell’indebitamento per acquistare una nuova automobile. Pare lo stesso si voglia fare per gli elettrodomestici.
Siamo sicuri che così facendo non si perpetua il circolo vizioso tra soldi virtuali e indebitamento reale, che è esattamente quello che ha portato al fragoroso crack?
Siamo sicuri sia la ricetta giusta contro la recessione, parola che spaventa ma che siccome ci siamo ormai dentro è inutile esorcizzarla facendo appelli alla fiducia, la quale invece sì rischia di diventare solo e soltanto una parola?
Siamo sicuri che basti mandare ministri nei talk show televisivi, intervistarli sui giornali amici o in quasi tutti i telegiornali perché i cittadini non comincino a dubitare seriamente della capacità del governo di contrastare la crisi,economica ma anche sociale, che come ci ricordano i più avvisati sarà “severa, lunga e globale”?
Anche la pubblicità, che potrebbe servire a favorire il volano dei consumi se la passa male. Secondo gli analisti la stessa Mediaset ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un 2 per cento positivo e spera di mantenerlo anche nell’ultimo trimestre dell’anno, per rimanere negli obiettivi. Comunque, a Piazza Affari ci sono due scuole di pensiero: c’è chi consiglia di vendere il titolo, chi suggerisce di tenerlo.
Tutto il resto è preoccupante: sulla spinta di disinvestimenti della marche globali, molto presenti nel nostro mercato la pubblicità italiana ha smesso di soffrire e ormai comincia a sentirsi male sul serio: la previsione di fine anno è -3%.
Il fatto nuovo è che se la carta stampata piange, la tv fatica, è la volta di internet a non sorridere più.
Negli Usa internet “frena” (-0,3%); in Italia, a fronte di espansioni di investimenti degli ultimi mesi tra il 40 e il 45%, la stima per fine 2008 si attesterebbe intorno al 23%: una frenata che rischia di lasciare sull’asfalto quasi la metà dei pneumatici di questo nuovo e promettente veicolo di comunicazione commerciale.
In tutto questo, ci vorrebbe una bella dose di creatività: in politica, in economia, ma anche in pubblicità (nella finanza no, per favore, abbiamo già dato!). Ma anche su questo terreno siamo un po’ scarsi: “si lavicchia”, avrebbe detto Totò. Beh, buona giornata.
Una risposta su “La bolla speculativa e le balle della propaganda.”
“Siamo sicuri sia la ricetta giusta contro la recessione” ? Si.