Qualche giorno prima dell’inizio delle vacanze estive, durante un’affollatissima riunione di brief per la comunicazione pubblicitaria a favore di un importante consorzio italiano, un famoso pubblicitario italiano si è alzato è ha detto no. Ha detto di non essere d’accordo col metodo, di non condividere e dunque di non poter aderire al modo in cui si voleva svolgere la consultazione. Poi, se ne è andato, lasciando la riunione.
La cronaca ci dice che in seguito, il consorzio ha annullato la procedura, per riconvocare un numero ristretto di agenzie, alle quali assegnare il compito di realizzare la campagna pubblicitaria.
La notizia ha fatto notizia. E la cosa ha fatto piacere a chi sta a cuore il corretto svolgimento delle gare per l’assegnazione di un budget pubblicitario. In particolare, la cosa mi ha fatto piacere perché la persona che si è alzata e ha detto no! è il decano dei pubblicitari italiani, è un uomo di cui coltivo amicizia personale e stima professionale da molti anni: Emanuele Pirella.
Ma la notizia ha fatto notizia perché da anni le agenzie di pubblicità e i loro rappresentanti hanno smesso il ruolo di protagonisti del mercato, diventando comprimari di regole sregolate, di inciuci compromissori, di sudditanza psicologica e fattuale, di labili comportamenti etici: pur di prendere un budget si fa di tutto, meno quello che sarebbe giusto fare. E si è trascinata la pubblicità italiana in limbo di incertezze. Quando il metodo è sbagliato, la pubblicità è brutta, cattiva, senza anima, senza prospettive.
Siccome il mercato è fatto di chi fa il mercato, la responsabilità di questa situazione ha tanti nomi e c
ognomi, quanti sono i top manager della pubblicità italiana di questi anni.
Come nella famosa favola, Pirella si è alzato e ha detto, molto semplicemente:“il Re è nudo”. Era estate ma sembrava autunno per quante foglie di fico son cadute. Beh, buona giornata.