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Quando una campagna diventa (contemporaneamente) il brief di altre due.

La colpa non è nel plagio. Può succedere. La colpa è di aver fatto solo e soltanto quello che gli era stato chiesto. Senza preoccuparsi di dove nascesse quella richiesta. Senza informarsi da dove scaturisse quel compito. Senza guardare prima che cosa era già stato fatto. Non dovrebbe succedere. E invece succede che due importanti […]

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La colpa non è nel plagio. Può succedere. La colpa è di aver fatto solo e soltanto quello che gli era stato chiesto. Senza preoccuparsi di dove nascesse quella richiesta. Senza informarsi da dove scaturisse quel compito. Senza guardare prima che cosa era già stato fatto. Non dovrebbe succedere.

E invece succede che due importanti vettori italiani fanno praticamente la stessa campagna. Una dice che lei (la compagnia aerea) “fa volare l’Italia”. L’altra dice che grazie a lei (la compagnia aerea) “facciamo volare alto il Paese”. E’ lo stesso posizionamento, non tanto tra i due contendenti, quanto di un’altra campagna: “Fiumicino vola”, firmata da ADR, Aeroporti di Roma, uscita un paio di mesi fa e tutt’ora “on air” (trattandosi di trasporto aereo, “on air” ci sta bene).

Evidentemente, camminando per i corridoi dell’aeroporto di una importante città italiana, dove entrambe le compagnie hanno le rispettive basi di armamento, cioè la sede principale, e dove tutt’ora campeggiano grandi e piccole installazioni con su la campagna “Fiumicino vola”, a qualcuno degli uni contemporaneamente a qualcun altro degli altri è venuta improvvisamente la stessa idea: sono io che faccio volare qualcosa.

Lecito, comprensibile, scusabile, ingenuo. Niente di male. Solo che se una struttura aeroportuale dice che fa volare se stessa, con tanto di foto di persone di tutto il mondo che alzano gli occhi al cielo per verificare o testimoniare il decollo dell’aeroporto, questa è un’idea, proprio perché dichiara apertamente di essere un “nonsense”.

Però, quando la stessa idea viene applicata contemporaneamente a due compagnie aeree, tra loro concorrenti nello stesso mercato domestico, i cui voli partono in gran parte dal medesimo aeroporto che sta facendo, prima di loro, una campagna originale, che per plagio concettuale diventa simile, va da sé che il “nonsense” si sposta dall’oggetto della comunicazione ai soggetti che le hanno concepite, realizzate e stampate sui media.

Si sa che il “cliente ha sempre ragione”. Le agenzie di pubblicità no. Ogni tanto bisognerebbe dire al cliente che ha torto, non fosse altro per il fatto che le due campagne delle due compagnie in questione non solo sono uguali tra loro, ma sono state generate da una campagna precedente e per giunta nata nello stesso settore merceologico, che oltre tutto è un loro fornitore: per montare su un aereo bisogna passare per l’aeroporto da cui il volo parte, quindi acquistare servizi utili al volo (attracco ai moli, rifornimento del carburante, gestione dei bagagli, biglietteria, check- in, controlli di sicurezza, senza contare negozi, bar, ristoranti, edicole.)

Il risultato di questo copia-copia pubblicitario (concettuale, prima ancora che estetico) rischia di diventare grottesco: entro in un aeroporto che “vola”, monto su un aereo che fa “volare” il paese. Ho le vertigini, tutto mi vola intorno. Vuoi vedere che alla fine mi girano davvero: io (passeggero) pago e loro mi pigliano in giro.

Quando una campagna (in questo caso due) dichiara smaccatamente che “verba volant”si fa un pessimo lavoro per i clienti, per i clienti dei clienti, per i clienti della pubblicità in genere.
Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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