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Il baccellone della mediocrità ovvero la sindrome di Munchausen nelle agenzie di pubblicità.

La pubblicità italiana vive male le sue attuali difficoltà. Se c’è qualcosa di vero nella tesi “della mucillagine”, descritta dall’ultimo Rapporto del Censis, nelle agenzie di pubblicità italiane se ne potrebbero vedere gli effetti concreti. La perdita di speso specifico nel sistema della comunicazione d’ impresa ha degli effetti deleteri nel rapporto tra le relazioni […]

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La pubblicità italiana vive male le sue attuali difficoltà. Se c’è qualcosa di vero nella tesi “della mucillagine”, descritta dall’ultimo Rapporto del Censis, nelle agenzie di pubblicità italiane se ne potrebbero vedere gli effetti concreti.

La perdita di speso specifico nel sistema della comunicazione d’ impresa ha degli effetti deleteri nel rapporto tra le relazioni professionali. Dall’onanismo del creativo della seconda metà degli Anni Ottanta, che comunque ha prodotto buoni risultati dal punto di vista della reputazione dell’advertising italiano in Italia e nel mondo, si è passati all’ipertrofia dell’ego del Ceo, tipica della seconda metà dei Novanta. Purtroppo, in questa seconda fase i risultati sono stati alquanto miseri dal punto di vista economico e finanziario, miserevoli dal punto di vista della creazione dei messaggi: la creatività è andata da prima in stallo e poi è precipitata, fino a schiantarsi al suolo dell’intrattenimento televisivo, ingoiata dallo stomaco capace della tv generalista.

Quella che stiamo vivendo, in questi primi sette anni del nuovo secolo è una fase di disorientamento, sia nelle modalità che nei contenuti.

La forma-tipo dell’Agenzia è in crisi: non riesce a liberarsi del passato, incentrato sui media tradizionali, non riesce ad agguantare il futuro, fondato sulla comunicazione olistica. Ma siccome ciò che in Italia è ancora il futuro, in giro per il mondo globalizzato è già presente, lo scompenso spazio-temporale delle agenzie in Italia produce disturbi comportamentali.

Siamo a una fenomenologia che la scienza medica chiama Sindrome di Munchausen. Il barone di Munchausen partecipò effettivamente alla Guerra Russo-Turca nel 1700. Esattamente come la fase onanista della pubblicità italiana partecipò effettivamente alla scena nazionale e internazione negli Anni Ottanta.

Ma quando il Barone di Munchausen si ritirò nel suo castello omonimo, cominciò a spararle talmente grosse, da essere preso in giro dall’universo mondo. Esattamente come la fase dell’oligarchia dei Ceo della seconda metà dei Novanta.

Oggi siamo alla patologia. La patologia nasce quasi sempre dall’esigenza del paziente di attrarre l’attenzione su di sé, di essere oggetto di cura e premura da parte dei curanti e dei familiari e di “esistere”, agli occhi del proprio mondo relazionale, come “un eroe della malattia”.
Quando i trattamenti a cui il paziente si sottopone sono invasivi o debilitanti è possibile rintracciare una componente masochistica e autolesionistica.

Una variante particolarmente perniciosa della malattia si verifica quando il paziente determina la sintomatologia patologica in un’altra persona, spesso si tratta di madri nei confronti dei figli.
In questo caso la sindrome prende il nome di Sindrome di Munchausen per procura o sindrome di Polle dal nome vero del figlio di Munchausen morto in tenera età in circostanze sospette.

Siccome la patologia non è una entità astratta, ma è riscontrabile nelle persone, si manifesta nei ruoli, ha implicazioni relazionali, ecco che taluni nostrani pubblicitari sono il combinato disposto tra la sindrome originaria e quella per procura: da un lato si esagerano appositamente le difficoltà, al fine di sentirsi gli eroi della salvezza dell’agenzia; dall’altro, contemporaneamente si cerca di uccidere il nuovo e il buono, per poi lanciarsi in soccorso e mettersi in mostra come l’unico che poteva salvare la situazione.

Questi signore e questi signori sono tra noi, come in quel film di fantascienza in cui da baccelloni di legumi nascevano alieni che prendevano il posto delle persone vere.

Come riconoscerli? Se scopri uno o una che passa tutto il tempo a guardarsi l’ombellico, dice sempre “io”, scrive e-mail pieni di “cc”, parla per sentito dire, vuole stare su tutto, che è aggrappato con le unghie e con i denti al titolo sul biglietto da visita, e soprattutto fa di tutto e di più per mettersi in buona luce, mettendo in cattiva luce gli altri, eccolo è lui. E’ il coglione appena uscito dal baccellone della mediocrità.
Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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