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Dal welfare allo Stato asociale. Come contrastare le politiche neoliberiste del governo Prodi. Di Fabrizio Tomaselli.

Ospito su questo blog un intervento di Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale di Sdl, sindacato dei lavoratori. I temi trattati, il welfare e i diritti dei lavoratori sono di grande attualità. Sdl è un sindacato di base e come tale ha grande difficoltà ad accedere ai media. Dunque, più che aderire alla proposta di un Referendum […]

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Ospito su questo blog un intervento di Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale di Sdl, sindacato dei lavoratori. I temi trattati, il welfare e i diritti dei lavoratori sono di grande attualità.

Sdl è un sindacato di base e come tale ha grande difficoltà ad accedere ai media.

Dunque, più che aderire alla proposta di un Referendum che ripristini i contenuti delle Stato sociale, aderisco all’idea che le opinioni di Tomaselli e di Sdl debbano essere conosciute, magari anche solo per confutarle. Beh, buona giornata.

Dal welfare allo Stato asociale. Come contrastare le politiche neoliberiste del governo Prodi.
Di Fabrizio Tomaselli.

L’accordo del 23 luglio scorso tra Governo e sindacato confederale non ha fatto altro che evidenziare, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che la deriva liberista che in questi anni ha travolto l’Europa, non ha ancora dispiegato tutti i suoi nefasti effetti.
Nonostante le privatizzazioni e le liberalizzazioni non abbiano di fatto avuto alcun effetto benefico nei confronti dello sviluppo economico, come anche delle tasche e delle condizioni di vita del cittadino, abbiamo assistito e vissuto una “sbornia da mercato” alimentata in modo artificioso da una valanga di informazioni false che hanno a loro volta foraggiato aspettative ancor più distorte.
Il falso mito del “mercato che tutto risolve al suo interno, che si autoregola e che assicura sviluppo infinito” si è infranto contro una realtà che sbatte violentemente in faccia a tutti, da una parte la contraddizione di uno sviluppo infinitesimale del continente europeo e dell’Italia rispetto a Paesi come Cina ed India che stanno rapidamente sconvolgendo ogni “regola” commerciale imposta dal club dei “ricchi” paesi occidentali e dall’altro la distruzione dell’ambiente, il rapido ed incontrollato aumento del disagio sociale, della precarietà, dell’abbandono di ogni riferimento al welfare quale elemento di emancipazione e giustizia sociale.

Il mondo della politica e quello sindacale sono sempre più lontani dal ruolo che dovrebbero svolgere: la massima e spesso unica preoccupazione, oltre a quella di perpetuare se stessi ed il proprio ruolo, diventa il tentativo di convincere il cittadino ed il lavoratore dell’ineluttabilità dei processi sociali ed economici che lo coinvolgono e lo travolgono.
Senza più indicare valori alternativi, senza individuare alcuna via di uscita da un meccanismo che tutto comprime, senza esprimere e sollecitare alcuna pulsione che vada quanto meno verso una ricerca collettiva di ipotesi diverse.

A questo punto, per superare la “sbornia da mercato” e tentare una analisi sobria che possa però rappresentare una iniezione di entusiasmo, di valori ed obiettivi concreti e condivisi, si deve necessariamente operare una semplificazione ed una sintesi.

Le privatizzazioni non hanno prodotto benefici rilevanti alle casse dello Stato, hanno distrutto interi settori industriali, hanno creato disoccupazione e dilapidato un patrimonio di professionalità acquisite, spesso hanno consegnato ad avventurieri della finanza le chiavi di parti importanti dell’economia nazionale che hanno semplicemente applicato la regola per nulla industriale del “prendi i soldi e scappa”.

Le liberalizzazioni, sbandierate anche in quest’ultimo anno come la panacea per tutti i mali della società, hanno di fatto relegato il cittadino a spettatore inerme di giochi che avevano tutt’altro scopo che quello di tutelarli. I costi dei prodotti e dei servizi, salvo poche eccezioni pagate però in altro modo, non sono diminuiti e l’unica cosa che ha registrato un reale calo è stata la qualità e l’efficienza dei servizi, a cominciare da quelli relativi alla salute, all’istruzione, ai trasporti, ecc.

I salari sono diminuiti sia in termini diretti, cioè il valore reale della busta paga, sia indiretti, cioè per tutti quei servizi che sino a ieri, proprio perché vissuti e gestiti come valore sociale, rappresentavano un concreto valore aggiunto al 27 di ogni mese.

Le pensioni sono state falcidiate e rese “complementari” alla rendita attraverso i fondi pensione, il lavoratore obbligatoriamente dovrebbe assicurarsi la vecchiaia giocando in borsa parte della busta paga.

La precarietà, infine, sta subendo una mutazione genetica, assumendo sempre più le sembianze della normalità, piuttosto che della straordinarietà. Vecchi giovani che devono convivere ormai stabilmente con uno stato di disagio complessivo ed economico che porta al degrado morale, alla desolazione sociale e distrugge spesso gli stimoli al cambiamento.

Per fare tutto ciò si è spinto l’acceleratore non soltanto dal punto di vista della forzatura legislativa ed economica, non soltanto agendo su rapporti di forza sociali sempre meno equilibrati, ma anche e soprattutto imprimendo una svolta “culturale” che ha investito in modo violento ed avvolgente l’intero corpo sociale del Paese.

E così, ad esempio, nessuno si stupisce più quando si afferma che “aumentare l’età pensionabile favorisce l’occupazione dei giovani” ! Ma come è possibile ? Il buon senso e la matematica ci dicono l’esatto contrario e cioè che se un anziano va in pensione il suo posto deve essere preso da un giovane e se invece rimane al lavoro per più tempo avremo più disoccupati e più precarietà !

Nessuno registra in modo critico che le liberalizzazioni non hanno prodotto alcun beneficio al cittadino, neanche alle sue tasche, ma si continua a credere alla favola della ineluttabilità di questo processo economico che invece è finalizzato alla destrutturazione dei rapporti di lavoro, all’aumento della precarietà e alla riduzione del costo del lavoro, a tutto beneficio del profitto di pochi.

E che cosa dire dell’altra “buona novella” delle privatizzazioni. Pur criticando tutti gli effetti che hanno avuto sulla quasi totalità delle aziende che hanno vissuto questo processo di trasformazione, si continua ad assorbire la logica per la quale “il pubblico non funziona e privato è meglio”.

A tutto ciò è necessario opporsi in modo concreto, oltre che teorico e culturale. Le contraddizioni della grande bugia del “dio mercato” sostenuta dai “grandi sacerdoti politici e finanziari” custodi della sua fede, sono ormai evidenti: non resta che renderle ancor più esplicite ed iniziare a proporre, uno dopo l’altro, una serie di elementi e di iniziative concrete che indichino la strada da seguire per uscire dal tunnel.

Per questi motivi il Sindacato dei Lavoratori avanza la proposta di un insieme omogeneo di QUESITI REFERENDARI che parta dalla PRECARIETA’ e dalla LIBERTÀ SINDACALE, che potrebbe interessare altri argomenti quali la previdenza, la salute, l’istruzione, i servizi pubblici, ecc., e che ponga all’attenzione dell’intera opinione pubblica e dei lavoratori, del mondo politico e sindacale, della società civile, l’estrema necessità di un cambiamento, di una svolta radicale che indichi un nuovo modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico e che al tempo stesso spazzi via i falsi miti di questi ultimi anni.

IL Referendum diventerebbe quindi uno strumento:
1. per accendere i riflettori su un problema, su un processo sociale, su un sistema economico;
2. per far discutere il cittadino sulla sua condizione sociale, sul modello di vita al quale si raffronta ed al quale aspira, sulla sua busta paga, sulla sua pensione, sulla condizione di suo figlio precario;
3. per evidenziare che i servizi che non funzionano sono troppo spesso quelli che sono stati liberalizzati e privatizzati;
4. per capire tutti insieme che una strada diversa è possibile, oltre che auspicabile;
5. per provare a vincere una battaglia importante che coinvolge tutti.

Il problema da affrontare e risolvere non è tanto quello dei costi della politica e del sindacato di cui si parla in questi ultimi mesi, quanto quello della efficacia della politica e dell’azione sindacale, intesi come strumenti che devono ridiventare onesti e trasparenti, e che devono perseguire ed assicurare emancipazione, sviluppo e cambiamento, ma anche e soprattutto giustizia sociale.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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