Tra i credenti perso il 20% in un mese. Crisi di immagine. E il premier ora teme uno choc sul G8
di Federico Verderami-corriere.it
È allarme rosso nel Pdl. Altro che 25 aprile, altro che pacificazione nazionale, altro che dialogo e riforme condivise. Da domani maggioranza e opposizione contribuiranno ognuna per la propria parte a rendere ancora più alto il muro che le tiene separate. Perché ormai è chiaro quale tema terrà banco in Parlamento fino all’estate, è sulla giustizia che si sfideranno i due schieramenti. Berlusconi ha invitato il suo Guardasigilli a prepararsi per uscire allo scoperto, sapendo che Bossi si comporterà da «alleato leale», dopo aver ottenuto quanto chiedeva: la legge delega sul federalismo fiscale. E siccome al momento non ci sono le condizioni per un tavolo bipartisan dove discutere sulle modifiche alla Carta costituzionale, il Cavaliere vorrebbe sfruttare questi due mesi di lavoro parlamentare per portare a casa il nuovo testo sulle intercettazioni e la riforma del processo penale. Era questo il piano prima delle elezioni, ma il risultato delle urne lo consegna indebolito e sarà più complicato in questo modo dar battaglia.
Eppure lo scontro inizierà già domani alla Camera, dove si voterà la mozione del Pd che chiede l’abolizione del «lodo Alfano». Per l’ennesima volta sarà come ripiombare in un passato che non è mai alle spalle, se è vero che si intravedono le ombre di ulteriori e clamorosi colpi di scena giudiziari. Da tempo voci preoccupate alimentano i colloqui riservati dell’inner circle berlusconiano, nuovi fantasmi si muoverebbero nel triangolo delle procure di Milano, Napoli e Palermo, con il Cavaliere — e non solo lui — nel mirino. È un’ipoteca politica che grava anche sul G8 dell’Aquila, dove Berlusconi teme «una sgradevole sorpresa» come quella del ’94. È una questione che comunque ieri sera è rimasta ai margini delle prime analisi sul voto.
A preoccupare i dirigenti del Pdl, semmai, è stato l’azzardo del premier, che tenendo altissima l’asticella del risultato in campagna elettorale aveva prodotto un’aspettativa molto ambiziosa. Anche troppo. «Quota 40» era la soglia, invece non solo è sceso sotto quel limite, ha ripiegato anche rispetto alle Politiche. Una sconfitta. Nessuno lo immaginava nel Pdl, dove si è avvertito un senso di smarrimento, più di quanto ne avesse prodotto la sfuriata di Berlusconi qualche ora prima, irritato per la «pessima organizzazione» dell’ultima manifestazione a Milano: «C’era pochissima gente». Quella convention è stata emblematica perché ha dato l’idea di un partito che stenta a decollare. In fondo, quando il premier sostiene di esser stato «forzato» a candidarsi, disvela la fragilità del Pdl.
Il punto è che Berlusconi resta l’unico attaccante, l’uomo panino, il collettore di consensi. Fino al 25 aprile, infatti, quando ancora macinava gli avversari, quando si sentiva ed era «il presidente di tutti gli italiani », il Pdl veleggiava tra il 43-45%. Il Cavaliere appariva un dominus della politica italiana capace di proiettare la sua forza anche a livello internazionale, prefigurando il Pdl come primo partito del Ppe e ipotecando persino la presidenza dell’Europarlamento. Poi è cambiato tutto.
La crisi d’immagine è iniziata cinque settimane fa, il tarlo del sospetto su Noemi, la ragazza di Casoria che lo chiama «papi», ha iniziato a minare il suo rapporto con l’opinione pubblica, che aveva toccato il suo picco storico nel giorno della festa della Liberazione, quel «76%» di fiducia che lo stesso premier aveva definito «imbarazzante». Da allora è precipitato nei numeri personali. Una crepa si è aperta soprattutto con l’elettorato cattolico: per i sondaggisti, in meno di un mese, c’è stato un crollo di venti punti percentuali, concentrati sui credenti praticanti. E con lui ha preso a calare anche il Pdl. Berlusconi a quel punto ha capito di essere in affanno e dopo aver giocato la competizione con la Lega si è aggrappato a Bossi. Nel Pdl c’è chi contesta le sue ultime sortite, perché non si possono cedere Kakà al Real e il Veneto alla Lega a pochi giorni dal voto.
La sconfitta si fa cocente, paradossalmente passa in secondo piano il fatto che si sia allargata la forbice con il Pd. Resta la botta. È tutto da vedere se cambierà la strategia del Cavaliere, è certo che già prima delle urne il premier si era preparato a risolvere i casi politici aperti, riannodando i rapporti con il governatore siciliano Lombardo e anticipando di voler lasciare a un leghista la candidatura in Veneto alle prossime regionali. Berlusconi mirava (e mira) a spegnere i focolai d’incendio per garantirsi un percorso parlamentare sicuro sui provvedimenti che gli stanno più a cuore, in modo poi da concentrarsi su un G8 che non sarà facile, vista la freddezza con cui la Casa Bianca tiene i rapporti con l’Europa intera. Immaginarsi con l’Italia di un Cavaliere che si è indebolito.