di ROMANO PRODI -Il Messaggero
DA QUALCHE settimana non si fa altro che dibattere su quando usciremo dalla crisi economica. Si discute su quale Paese uscirà per primo, se si uscirà attraverso l’aggravarsi della disoccupazione e se si dovrà passare attraverso un altrettanto penoso processo di inflazione.
Tutti questi sono esercizi utili ed importanti. Credo però che da ora in poi dovremo soprattutto impegnarci a trovare le idee e gli strumenti per uscire più presto e meglio dalla crisi, preparando una struttura produttiva capace di rispondere alle nuove necessità e alle nuove domande di un mondo in profondo cambiamento.
Un Paese ad elevato livello di sviluppo e ad alti elevati costi del lavoro come l’Italia deve già da ora dedicarsi a costruire le fondamenta su cui costruire la nostra ripresa ed il nostro futuro. Due sono le direzioni verso cui indirizzare con assoluta priorità i nostri sforzi e le risorse finanziarie a nostra disposizione. Questi settori sono le scienze della vita (dai nuovi farmaci agli strumenti medicali alle biotecnologie) e il grande campo dell’energia e dell’ambiente.
Oggi voglio limitarmi (si fa per dire) a riflettere su quest’ultimo aspetto, anche perché negli Stati Uniti si sta già profilando un progetto che assumerà dimensioni e importanza non certo inferiori al progetto Apollo, progetto che non solo ha guidato alla conquista dello spazio ma che ha dato origine a molti dei più importanti progressi industriali della passata generazione.
Obama sta dedicando ad energia e ambiente risorse immense, allo scopo di costruire un primato americano dove si concentrerà lo sviluppo futuro. Essere verdi e intelligenti non significa solo “pulire” ma divenire leader in un enorme numero di nuove tecnologie senza aspettare gli altri.
Come si legge in un comprensibilissimo rapporto sull’incontro fra Obama e la Presidente del famoso Mit di Boston (riportato in Italia nel numero di maggio di Technology Review l’ondata delle innovazioni procederà in tre direzioni.
1. produzione di energia (solare, producendo energia persino dalle finestre, eolico, biomasse e trattamento dei rifiuti).
2. Accumulo di energia (nuove batterie molto più capaci e assai più facilmente ricaricabili di quelle di oggi).
3. Uso finale dell’energia (auto, motori elettrici e lampade che consumano infinitamente meno e una rivoluzione completa nell’edilizia).
Gli Stati Uniti hanno risorse materiali e umane per potere primeggiare in tutte queste direzioni. Questo non è certo il caso dell’Italia. È però possibile e doveroso per l’Italia scegliere alcune nicchie nelle quali concentrare uno sforzo innovativo che è certamente alla nostra portata.
Non si deve però trattare di semplici innovazioni di processo o di design ma di vere innovazioni di prodotto, di cui le imprese italiane dovranno rimanere proprietarie anche in futuro. In taluni casi potremo operare da soli, in altri la strategia migliore sarà quella di cooperare con imprese e laboratori di ricerca di altri Paesi, ma non vi è tempo da perdere per individuare le nicchie nelle quali o da soli o congiuntamente saremo in grado di sviluppare tecnologie proprietarie, cioè tecnologie che potremo far progredire anche nel lontano futuro.
Una coraggiosa politica ambientalistica, da Kyoto in poi, non può essere vista come un freno alle nostre imprese, ma come uno stimolo per cogliere le grandi opportunità del futuro.
Dobbiamo correre in fretta anche perché questo è il solo modo per rianimare la nostra ricerca, oggi tanto depressa.
Riguardo allo stato della nostra ricerca abbiamo in questi mesi assistito alle giuste preoccupazioni e alle giuste proteste sul fatto che non si fanno concorsi e che i giovani sono costretti ad emigrare.
Io credo che, oltre al doveroso compito di riportare la nostra ricerca verso dimensioni quantitative degne di un Paese della nostra importanza e del nostro livello di reddito, dobbiamo preoccuparci del fatto che, non entrando come protagonisti in questi nuovi campi, perderemo definitivamente il treno della storia. Anche da questo senso di impotenza deriva infatti la frustrazione dei nostri giovani ricercatori.
Mi aspetto perciò e faccio appello ad un grande sforzo congiunto da parte delle strutture pubbliche e delle imprese per mobilitare tutte le forze disponibili per inseguire questo importante capitolo del futuro che ci sta sfuggendo. Dobbiamo farlo oggi perché un grande progetto di questo tipo ha bisogno di tempo. Non basta infatti reperire risorse finanziarie aggiuntive ma bisogna obbligare Stato, Regioni e imprese a camminare in un’unica direzione.
Prevedere quando finirà la crisi mi sembra certo importante ma è molto più utile prepararci a costruire il futuro. (Beh, buona giornata).