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La crisi e la protesta. Naomi Klein: “A me sembra ingiusto che i banchieri che hanno creato la crisi non siano sotto processo e una ragazza vada in carcere per un vetro rotto”.

Intervista a Naomi Klein di Antonio Carlucci, da L’epresso.

I giovani che sono scesi in piazza sono molto arrabbiati. E gridano ai loro leader politici di salvare il pianeta e non solo le banche e le assicurazioni… Naomi Klein, la scrittrice che ha dato forma al movimento con due libri, ‘No Global’ e ‘Shock Economy’, e che da anni scrive per ‘L’espresso’, giudica per la prima volta quanto è accaduto a Londra, in Francia, a Strasburgo. Paragona il movimento di oggi a quello che abbiamo visto nelle piazze prima dell’11 settembre 2001, giudica la nuova leadership americana di Barack Obama, dice la sua sulle decisioni del G20, sottolinea le differenze che ci sono in questo movimento in Europa e negli Stati Uniti. E dice che chi è sceso in piazza in questi giorni “dimostra di avere etica, morale e principi”.

Come giudica le manifestazioni di Londra in occasione del G20 e quelle di Strasburgo nei giorni del summit della Nato?
“Con un nuovo stato d’animo e in forme diverse stiamo assistendo al ritorno delle grandi proteste che ci sono state in tutto il mondo, compresa l’Italia con Genova, prima dell’11 settembre 2001 dove si fusero insieme il no alla globalizzazione, la protesta contro le ineguaglianze nel mondo del lavoro e la richiesta di maggiore attenzione verso l’ambiente”.

Quella fiammata si spense dopo l’11 settembre per riaccendersi di tanto in tanto e senza una strategia. Ora accadrà lo stesso?
“Il movimento arretrò perché i sindacati e i partiti politici non vollero essere associati direttamente con un movimento di azione diretta e radicale del quale avevano paura. Adesso mi pare che le cose siano diverse: se guardiamo alle strade di Londra vediamo che, fianco a fianco, sfilano giovani attivisti di matrice radicale e vecchi sindacalisti, precari alle prese con lavori che oggi ci sono e domani no e militanti ambientalisti e pacifisti. È una nuova scelta di militanza che ha alla sua base la crisi economica e i problemi di vita quotidiana, anzi di sopravvivenza quotidiana, che milioni di persone vivono a causa delle scelte delle leadership mondiali”.
Non vede anche un filo populista che lega insieme la protesta contro i banchieri, quella contro i politici, quella contro i ricchi e, assai spesso, quella contro gli immigrati accusati di sottrarre posti di lavoro nel paese dove arrivano?
“Mi pare che il dato unificante e prevalente dei partecipanti alle manifestazioni sia la rabbia. E non è un sentimento artificiale, costruito sulla ideologia: la gente è arrabbiata e ha il diritto di esserlo. Il problema è dove sarà diretta questa rabbia, se sulle persone responsabili delle diverse crisi che attraversano il nostro mondo e se invece rischia di essere deviata contro coloro che stanno peggio, per esempio gli immigrati. A Londra il movimento ha detto chiaro che i responsabili della situazione sono i banchieri e i politici”.

Come valuta proteste come quelle avvenute in Francia dove i lavoratori delle fabbriche o degli uffici a rischio di chiusura hanno sequestrato direttori e manager?
“In Francia c’è da sempre un movimento di lavoratori strutturato e questi episodi sembrano un ritorno alle tattiche utilizzate nel 1968. Io non sono d’accordo con chi dice che c’è qualcosa di sbagliato nell’essere arrabbiati con i capi e che non bisogna fare azioni di quel tipo. Io ritengo che ci sia il diritto alla rabbia e alla lotta per i propri diritti a cominciare da quello del lavoro. Se non ci fosse un movimento organizzato, sapete che cosa accadrebbe? Che le uniche vittime della crisi economica sarebbero i lavoratori. Come sta accadendo negli Stati Uniti dove i lavoratori vengono licenziati e i manager che hanno portato al disastro le aziende ricevono bonus milionari”.

Visto che lei vede un movimento che ritorna in campo, non sembra proprio che negli Stati Uniti la rabbia si stia esprimendo nelle strade. Anzi, i luoghi più affollati sono le fair job, i raduni dove si incontrano disoccupati in cerca di un nuovo lavoro e imprenditori che hanno bisogno di lavoratori…
“Anche in America la rabbia c’è. Ma è stata deviata verso altri obiettivi. Provate a guardare la sera la Cnn, quando Lou Dobbs se la prende con gli immigrati messicani o sentite Rush Limbaugh su Fox Tv o sulla catena di radio che lo ospitano che dice agli americani che non è colpa dei banchieri e di Wall Street, ma del vostro vicino che vi porta via il lavoro”.
Ma da quasi tre mesi alla Casa Bianca non c’è più George W. Bush ma Barack Obama. E quelli che lei ha citato non amano Obama…
“Quella propaganda contiene elementi di cultura politica fascista ed è certamente diretta anche contro Obama. Essendo un afro-americano, il presidente è un buon bersaglio per questa reazione della destra populista. Anche se non ha ordinato il ritiro immediato dall’Iraq, vuole una escalation in Afghanistan e usa i soldi dei cittadini per salvare le banche private, siamo però al paradosso che la sinistra e i liberal difendono a spada tratta Obama per proteggerlo dalla destra populista e reazionaria. Tutto ciò impedisce al movimento di fare quanto è accaduto a Londra o in Italia, dove gli studenti hanno manifestato gridando al capo del governo Silvio Berlusconi che non vogliono essere loro a pagare una crisi che non hanno causato”.

Lei non vede grandi differenze tra l’era Bush e l’era Obama.
“Ce ne sono, eccome se ce ne sono. In Inghilterra, per esempio, tra il premier Gordon Brown e i suoi avversari conservatori. Ma negli Stati Uniti si pone troppa enfasi sul percorso elettorale che una volta concluso porta automaticamente alla nascita di un culto della personalità di cui oggi Obama è vittima e protagonista. Certo che Obama è meglio di John McCain ma non per questo la sinistra deve automaticamente esserne il difensore su tutta la linea”.

Il movimento della rabbia, come anche lei, critica il salvataggio delle banche. Ma Obama ha portato in Parlamento – e ne ha ottenuto l’approvazione – una legge in cui ci sono miliardi di dollari destinati a lavori pubblici o a creare posti di lavoro. Sbagliato anche questo?
“No. Ma, visto che spesso si paragona l’oggi con le scelte di politica economica di Franklin Delano Roosevelt dopo la Grande Depressione, molti dimenticano che Roosevelt arrivò alla Casa Bianca con un piano di rinascita decisamente vago e che le scelte giuste arrivarono grazie alla pressione politica della sinistra e dei sindacati. Oggi quella organizzazione non esiste, il sindacato dell’auto non sembra voglia dare battaglia. Oggi c’è l’Obamamania, l’attesa messianica intorno alla sua figua e l’interesse spasmodico di sapere perché la First Lady Michelel porta abiti senza maniche. Io noto invece che il principale dei suoi consiglieri economici è Lawrence Summers il quale è direttamente responsabile della terapia shock alla quale fu sottoposta la Russia dopo la caduta del Muro di Berlino. E abbiamo visto che cosa è diventato quel paese. È Summers che ispira gran parte delle scelte economiche del presidente Obama”.

La Casa Bianca ha anche lanciato il più grande piano di sviluppo delle energie alternative. Che cosa ne pensa?
“Penso che sia il risultato della esistenza di un forte movimento ambientalista in Nord America e delle loro iniziative ultra decennali. Io giudico positivamente queste scelte di Obama perché rispondono a richieste di cambiamento molto diffuse. Purtroppo nel piano di Obama mancano elementi importanti come una nuova politica per il trasporto pubblico, settore strategico per la costruzione di un Paese più verde”.

A Londra il movimento ha invaso le strade. Ora lei prevede che, finito il G20, i manifestanti se ne staranno tutti a casa in attesa del prossimo summit, magari il G8 di luglio in Italia, o la loro rabbia diventerà attività politica quotidiana?
“Dipende da molti fattori. Non bisogna comunque guardare solo a quanto avviene intorno ai summit mondiali dove i media riportano ogni più piccolo dettaglio. Nel mondo ci sono tanti episodi giornalieri di manifestazione di questa rabbia che non vengono pubblicizzati. Quello è il movimento che vive e cresce”.

E che spesso degenera in episodi di violenza. Sarà il problema con il quale si dovrà confrontare nell’immediato futuro?
“Non sono in grado di fare previsioni di questo tipo. Proprio stamattina ho letto un articolo su una ragazza finita in cella per aver rotto una vetrina della Royal Bank of Scotland a Londra. A me sembra ingiusto che i banchieri che hanno creato la crisi non siano sotto processo e una ragazza vada in carcere per un vetro rotto”.
A Strasburgo non ci sono stati solo vetri rotti…
“Quando c’è la rabbia è inevitabile. Io ho paura che possa esserci una reazione esagerata a questi episodi e una criminalizzazione di qualsiasi forma di protesta. Meno male che in questo momento molti poliziotti solidarizzano con i manifestanti, visto che sono colpiti anche loro dagli effetti della crisi”.

Abbiamo cominciato questa conversazione dalla manifestazioni di Londra contro il G20. Qual è il suo giudizio sul risultato del summit?
“Delusione. La retorica ha coperto e nascosto la portata delle decisioni. Gordon Brown ha solennemente dichiarato che è finita l’era del Washington consensus. Invece, poi è stato deciso di stanziare un trilione di dollari alla Banca mondiale e al Fondo monetario che sono sempre stati lo strumento del Washington consensus”. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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