Le tesi di Beppe Grillo sulla crisi della carta stampata hanno provocato un dibattito tra i lettori di megachip.info, dibattito al quale ho partecipato. Quello che segue è in parte quello che ho scritto per megachip.info, che qui ho poi meglio sviluppato nella seconda parte.
Prima parte.
«Il problema non è che i giornali non sono più attraenti per i loro lettori, è che non sono più capaci di trasformare quell’interesse in ricavi.» Lo ha detto James V. DeLong, vice presidente e analista senior del Convergence Law Institute, in un saggio pubblicato da American.com, versione on line del magazine American.
La qual cosa appare come una risposta ad alcune polemiche di scarso rilievo, come quella recentemente agitata da Beppe Grillo, circa la malattia terminale della carta stampata.
Malattia che permetterebbe l’acquisizione di una sovranità di internet, inteso come luogo ideale alla libertà di espressione. Il fatto è che questo dato non è dato.
Sarebbe come dire che l’invenzione della ruota abbia modificato lo stare in piedi e il camminare degli esseri umani. Balle. Il sonoro non ha fatto fuori il cinema. La tv non ha fatto fuori il cinema. Dunque, internet non farà fuori la carta stampata. Anzi, è proprio la carta stampata, per la sua innata capacità di fornire una lettura condivisa, una sintesi, una connessione ragionata della realtà che è riuscita a consacrare il primato di alcune esperienze di comunicazione, come per esempio il blog di Beppe Grillo.
Se non lo avesse detto il giornale, il fatto non ci sarebbe stato.
L’estremismo è la malattia infantile della comunicazione, tanto per parafrase uno che di rivoluzioni se ne intendeva. Allora, non c’è davvero bisogno di complicare una realtà che è semplice da capire.
Seconda parte.
La crisi dell’informazione ha connotati chiari: essi sono nel perimetro del rapporto tra le notizie e la pubblicità, nella relazione tra informazione e intrattenimento, tra la società dei consumi e il conusmo di informazioni. Questo perimetro contiene gli stessi elementi che ha internet. Solo che attualmente internet costa meno della stampa ma ricava meno dal punto di vista della raccolta pubblicitari. Quando gli editori italiani avranno risolto i problemi di diffusione e di raccolta pubblicitaria la stampa avrà una nuova vita. Molti giornalisti cambieranno mestiere, come hanno dovuto farlo molti operai metalmeccanici, di fronte alle ristrutturazioni del ciclo dell’auto, o gli stessi poligrafici con l’avvento dell’informatica
La quarta crisi, dunque non sta nella supremazia di un media (internet) a spese di un altro media (la stampa): sta nel rapporto tra l’industria dell’editoria e l’industria della pubblicità.
La battaglia democratica per una informazione pluralistica e una comunicazione commerciale compatibile si gioca su due schieramenti contrapposti: da una lato c’è chi vuole “catturare” l’attenzione del pubblico, dall’altro c’è chi vuole “liberare” l’attenzione dell’opinione pubblica. Il pubblico è consumatore, ha bisogno di intrattenimento. L’opinione pubblica è cittadinanza, ha diritto a saper che succede e cosa significa quello che succede. Perché la libertà dell’informazione è un bene comune. (Beh, buona giornata)
2 risposte su “Che cosa è e cosa non è la “quarta crisi”.”
Clay Shirky dice che abbiamo bisogno di giornalismo, non di editori.
Fantastico. Beh, buona giornata.