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Attualità

La memoria a 335°.

di Massimiliano Smeriglio da massimilianosmeriglio.info

Sotto un cielo severo si è consumato il dolore più grande. Sgomenti, i familiari e i compagni delle Ardeatine, hanno assistito alla rappresentazione più dura della sconfitta. Tina singhiozzava ben oltre il suo austero senso del pudore, Carlo si è accasciato al suolo, i brividi, le punture di spillo ripetute sei volte sul ricordo della strage dei Di Consiglio. Chiusa dentro un recinto la comunità di dolore invecchiata e stanca ha assistito alla commemorazione istituzionale presenziata da Fini, La Russa e il sindaco Alemanno. Una distanza siderale tra le ragioni, le paure, i tormenti e le ambizioni dei 335 e l’omaggio formale e militare dei rappresentanti dello Stato e della città.

Ancora più palese la contraddizione tra il ricordo senza pace e la militarizzazione della memoria. Questa odiosa invasione del campo civile da parte militare valeva ieri e vale oggi.

Ma oggi il colpo allo stomaco arriva dalla nostra inadeguatezza, dalla nostra superficialità, il colpo che fa male, che riga il volto di lacrime lente, arriva dall’incapacità tutta nostra di non essere riusciti a mettere in salvo la memoria più preziosa, di non essere stati capaci di preservare con cura e determinazione la storia dei padri. Abbiamo consegnato il nostro onore ai nemici di un tempo, gli abbiamo consegnato le nostre storie, il coraggio e le parole e siamo qui a pregare affinché ne facciano buon uso.

La sinistra si ritrova sgomenta e muta sul prato delle Ardeatine. Plurale, divisa, distorta e malconcia si specchia nel suo fallimento nel luogo più sacro, nel posto dell’anima, principio e fine di ogni liberazione.

Provo dolore ma anche vergogna, provo disgusto per le modalità sguaiate con cui spesso abbiamo calpestato le memorie più care, magari in nome dell’innovazione o dell’identità.

Che vergogna compagni, appesi al buonsenso del Presidente della Camera e all’onore delle armi che non si nega agli sconfitti.

Il 24 marzo è inciso nella mia memoria famigliare e in quella politica, ho imparato a camminare, a correre, ad odiare e ad avere paura frequentando con mia nonna le cave, ho visto piangere e lottare i famigliari delle vittime che hanno resistito alle provocazioni, alle leggende metropolitane, alle contrapposizioni, alla fuga di Kappler e all’oblio della memoria.

Il 24 marzo 2009 è per me, per noi, il giorno più triste, abbiamo giocato a palla con la giara dei mali, contribuendo alla diffusioni dei suoi umori più neri senza nemmeno sentire il dovere di mostrare le stigmate della responsabilità. Che brutta sinistra, la storia consegna il conto a noi che non eravamo pronti neanche a far di conto con la cronaca.

Ieri, 23 marzo, c’era il sole e il cielo si è colorato di tanti palloncini con i nomi dei martiri grazie alla volontà di insegnanti e ragazzi di una comunità resistente come quella del municipio XI e del suo Presidente.

Ieri Sara, 7 anni a giugno, mi ha insegnato che la memoria può avere un colore diverso dal rosso, può avere la dignità di una rosa bianca, gomitolo di essenzialità, appoggiata con cura accanto alla foto di Enrico Mancini, partigiano dal volto gentile, sangue del nostro sangue. Mi ha spiegato che bianco è meglio del rosso e che una carezza capace di accompagnare la foto è meglio di un saluto militare e di un pugno chiuso. Ho fatto fatica ma ho deciso di farmi guidare da mia figlia, ha il cuore più grande del mio e nutre il suo ricordo per il gusto di farlo senza concedere nulla al nemico, neanche il suo odio. E forse proprio per questo il suo viaggio sarà più fortunato del nostro. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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