da blitzquitidiano.it
Il futuro dell’informazione, e dei giornali in particolare, è molto cupo e, se non saranno capaci di sviluppare un modello a pagamento, cosa sulla cui possibilità ormai ci sono forti dubbi, il loro destino è affidato ai sussidi statali o a fondazioni benefiche.
La tesi è esposta con un lungo articolo, molto ben scritto e argomentato, da James V. DeLong, vice presidente e analista senior del Convergence Law Institute. Il saggio è stato pubblicato da American.com, versione on line del magazine American. È stato proposto in Italia dal sito Wittgenstein in cui si criticavano, con una certa veemenza, i concetti espressi da Marco Benedetto, direttore di Blitzquotidiano.it, in un’intervista al Sole 24 Ore. Su DeLong Wittgenstein ha ragione.
L’analisi è pienamente condivisibile, anche se bisogna sempre tenere presente il fatto che il mercato dei quotidiani in America presenta caratteristiche molto diverse dall’Italia. Dice infatti DeLong: è vero che la diffusione ha raggiunto nel 1984 un picco di 63,3 milioni di copie e da allora è stato, continuo calo, fino ai 54 milioni del 2007, ma di quel calo, 20,4 milioni di copie sono venuti da giornali della sera, uccisi dalle notizie in tv (e forse, viene da aggiungere, da qualcosa di più: il fatto che lo smisurato aumento dell’offerta televisiva portato dalla tv via cavo ha profondamente cambiato le abitudini serali degli americani).
Nello stesso periodo, continua DeLong, la diffusione dei quotidiani del mattino è dalita a 44,5 milioni di copie nel 2007 dai 35,7 del 1984.
Anche sul fronte della pubblicità le cose non sono andate così male nel ventennio, anche se il fatturato complessivo dei giornali è raddoppiato mentre il mercato è triplicato. Ma, si può aggiungere, quando il mercato cresce, tutti sono contenti di crescere, anche se gli altri crescono di più.
Qui il terreno dell’analisi in cui si avventura DeLong è più complesso, perché passa per la crescita del materiale prodotto dai giornali in uno sforzo continuo di rappresentare un’offerta alternativa alla tv e soprattutto per una serie di passaggi di mano dei pacchetti di controllo, che hanno portato, a prezzi fuori del mondo, alla formazione di mega gruppi editoriali e all’uscita di scena delle vecchie famiglie proprietarie, ultimi i Bancroft del Wall Street Journal. Resistono ancora i Sulzberger del New York Times, ma per quanto?
L’effetto di questi fattori estranei alla intrinseca natura del giornale porta i un primo momento DeLong a affermare che, se uno guarda allo stato patrimoniale dei giornali depurandolo di voci non peculiari all’attività editoriale, come l’ammortamento dei vari goowill, e trasformando i debiti in capitale attraverso la purga del fallimento, un futuro appare possibile, una volta che i giornali siano stati ricostruiti come un’operazione combinata fra carta e internet.
Il problema non è che i giornali non sono più attraenti per i loro lettori, è che non sono più capaci di trasformare quell’interesse in ricavi.
Per tutte queste ragioni, si può prevedere che dei giornali che ci sono oggi pochi ci saranno ancora in futuro. A meno che, sostiene DeLong, non siano capaci di reinventare un modello economico che ridia valora ai contenuti, così come, fino a poco tempo fa, nessuno obiettava sul fatto che che leggere un giornale lo si dovess comprare. (Beh, buona giornata).
FONTI INFORMATIVE
American.com
Wittgenstein