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Popoli e politiche

Quando Bush voleva militarizzare tutto il Nord America.

di Stephen Lendman – GlobalResearch.ca

Il titolo si riferisce alla Partnership del Nord America per la Sicurezza e la Prosperità (il cui acronimo in inglese è SPP), conosciuta anche come North American Union. Questa organizzazione ebbe origine il 23 marzo del 2005 a Waco, in Texas, durante una conferenza a cui parteciparono George Bush, il presidente messicano Vincente Fox e il premier canadese Paul Martin. Il suo obiettivo è la promozione di un accordo che stimoli l’integrazione economica e politica delle nazioni coinvolte, nonché la collaborazione dei rispettivi servizi di sicurezza. Le sue attività si svolgono senza clamore mediatico, attraverso gruppi governativi che architettano direttive politiche vincolanti bypassando l’opinione pubblica ed il normale dibattito parlamentare.

In sintesi, è un colpo di stato corporativo spalleggiato dall’esercito, che affossa la sovranità delle tre nazioni partner, la loro popolazione e i loro organismi legislativi. E’ un pugnale infilzato nel loro cuore democratico, anche se il pubblico è in gran parte inconsapevole delle sue attività.

L’ultimo summit dell’SPP si è tenuto a New Orleans lo scorso aprile. Da allora, la sua azione è stata in gran parte intralciata dalla gravità della crisi economica globale, che richiede la completa attenzione dei leader coinvolti. Ciononostante, le decisioni prese finora saranno riportate nelle righe che seguono, insieme a qualche informazione addizionale.

Lo scorso settembre, l’«Army Times» ha riportato che il terzo Team d’Assalto della prima Brigata (al tempo dispiegato in Iraq) sarebbe stato trasferito sul suolo americano entro il primo ottobre, per entrare in una «forza federale pronta all’azione in caso di emergenze o disastri di origine umana o naturale, attentati terroristici inclusi».

«E’ la prima volta che un’unità attiva viene messa sotto il comando della NorthCom, un comando congiunto creato nel 2002 per coordinare e controllare le iniziative di difesa federali e le azioni di supporto alla difesa delle autorità civili».

Poi, il primo dicembre, il «Washington Post» ha dichiarato che il Pentagono avrebbe dispiegato 20mila soldati sul suolo statunitense entro il 2011, con l’obiettivo di «aiutare gli ufficiali statali e locali in caso di attacco nucleare o altre catastrofi». Sono state impostate tre unità di combattimento capaci di una reazione rapida. Altre due potrebbero aggiungersi al progetto. Saranno integrate con 80 unità della National Guard, addestrate per rispondere ad attentati di natura chimica, biologica, radiologica, nucleare, con esplosivi ad alto potenziale o altri attacchi di natura terroristica. In altre parole, si pensa di usare plotoni addestrati ad uccidere per militarizzare ed occupare gli Stati Uniti.

Il pretesto è la sicurezza nazionale. Queste unità saranno operative in caso di attentato terroristico, genuino o no, e anche in caso di tumulti da parte della popolazione, provata dalla crisi economica. Considerando la portata e la gravità della crisi, esiste una discreta probabilità che qualcuno, prima o poi, si decida a reagire. In questo caso, pattuglie armate di soldati si affiancheranno alla polizia locale (già militarizzata) non appena sarà dichiarata la legge marziale o arrivi l’ordine di effettuare azioni di sicurezza repressive.

Secondo il documento “Essere pronti al prossimo disastro catastrofico”, pubblicato nel 2008 dalla DHS/FEMA, dono state sviluppate procedure di “Emergenza Catastrofica” per reagire a situazioni “naturali” o “causate dall’uomo”. Se le condizioni lo richiederanno, si parla di sospensione della Costituzione e legge marziale. Si propone anche di militarizzare gli Stati Uniti per proteggere il mondo degli affari.

Lo scorso primo ottobre, in conseguenza all’annuncio che l’amministrazione Bush intendeva dispiegare pattuglie di soldati sul suolo americano, con un budget di “100 miliardi di dollari (di bailout)”, il Partito d’Azione Canadese ha pubblicato un post intitolato “ALLARME: GOLPE NEGLI USA”.

Probabili esiti

Gli sforzi dell’SPP si sono arrestati durante il periodo di transizione da Bush a Obama, ma il progetto di “integrazione profonda” rimane in piedi.
Il 19 gennaio, il Centro per la Politica Commerciale dell’Università di Ottawa ha tracciato le linee direttrici per un progetto di approfondimento dei rapporti tra Canada e USA. Il loro documento afferma che una «cooperazione repentina e sostenuta nel tempo» in questo periodo di crisi globale, avrebbe dovuto includere le forze di sicurezza e di difesa, il commercio e la competitività.

Il testo, inoltre, sostiene «che l’argomento cruciale è la necessità di ripensare l’architettura di gestione degli spazi economici comuni del Nord America, inclusa la liberalizzazione del commercio». Il linguaggio impiegato è ricco di espressioni come «ripensare (e) modernizzare le frontiere» e il loro significato contestualizzato sembra alludere ad un annullamento delle stesse. Sia quelle canadesi che quelle messicane. Allo stesso modo, il documento raccomanda di «integrare i regimi regolatori in un unico sistema che si possa applicare ad entrambi i lati della frontiera». Sostiene che l’arrivo di una nuova amministrazione a Washington è «un’opportunità d’oro» per forgiare un «programma che porti ad un mutuo beneficio e ridisegni la governance nordamericana e globale negli anni a venire».

Il testo sventola lo spettro del protezionismo e la necessità di evitarlo, dato l’attuale clima economico. Propone una «partnership USA-Canada più ambiziosa», che superi il NAFTA, in accordo con il Messico.

Un altro documento, prodotto dal Centro Nord Americano per gli Studi Transfrontalieri dell’Università Statale dell’Arizona ed intitolato “North America Next”, chiede una «competitività sostenibile nella sicurezza» ed una maggiore integrazione tra USA, Canada e Messico attraverso «una sicurezza sostenibile, un commercio ed un sistema di trasporti efficace» per rendere «le tre nazioni nordamericane più sicure, più economicamente funzionali e più prospere».

Sia il progetto dell’Università dell’Arizona che quello di Carleton mirano a rafforzare le iniziative dell’SPP grazie alla collaborazione della nuova amministrazione di Washington, specialmente in un clima di crisi economica globale che porta il problema in primo piano.

Altre tematiche in discussione

Il giornalista Mike Finch, in un articolo intitolato “North American Union Watch”, pubblicato sul quotidiano «The Canadian», riferisce che esistono organizzazioni statunitensi e canadesi il cui obiettivo è porre fine al libero flusso d’informazione su Internet.
Cita la scoperta di un «progetto per la eliminazione della libertà su Internet entro il 2010 in Canada» ed entro il 2012 in tutto il mondo, effettuata da un «gruppo di attivisti a favore della neutralità della rete».

Secondo la sua ricostruzione dei fatti, i due più grandi ISP canadesi, la Bell Canada e la TELUS, intendono limitare il browsing, bloccare alcuni siti e rendere a pagamento la maggior parte degli altri, in un’iniziativa articolata dal SPP che avrà inizio nel 2012. Reese Leysen, del servizio di web hosting I-Power, lo definisce un progetto «oltre la censura: vogliono uccidere il più grande ecosistema di libera espressione e libertà di parola mai esistito nella storia dell’uomo». Cita fonti interne a grandi aziende, che l’hanno informato su «accordi di esclusività tra gli ISP e i grandi fornitori di contenuti (come le TV e le case editrici di videogiochi) per decidere quali siti saranno inclusi nel Pacchetto Standard offerto agli utenti, mentre il resto della rete sarà irraggiungibile se non dietro una tariffa supplementare.»

Per Leysen, le sue fonti sono «affidabili al 100%». Anzi, indica che un quadro analogo è emerso da un articolo pubblicato su «Time» ad opera di Dylan Pattyn. Anche le fonti di quest’ultimo sarebbero interne alla Bell Canada e la TELUS. Secondo queste, si pensa di far rientrare solo i 100-200 siti più visitati nel pacchetto d’abbonamento base che, con tutta probabilità, includerà le agenzie di notizie più blasonate e terrà fuori tutto il circuito della stampa alternativa. «Internet diventerebbe un parco giochi per creatori di contenuti miliardari» come le TV via cavo, a meno che non si mettano in atto azioni per fermare questo processo.

Leysen pensa che gli Stati Uniti e gli ISP mondiali hanno idee simili sulla limitazione alla libertà di parola e le invasioni della privacy. Se ha ragione, la posta in gioco è altissima. Ma anche il margine di profitto è sostanzioso e, quindi, i governi amichevoli potrebbero essere d’accordo. Si parla anche di usare «marketing ingannevole e tattiche terroristiche» (come, ad esempio, sventolare la minaccia della pornografia infantile) per ottenere il consenso pubblico a queste norme liberticide mascherate da regole per la sicurezza della rete. È necessario fermarli immediatamente.

Progetti per ribattezzare l’SPP/NAU

Lo scorso marzo, il Fraser Insistute canadese lo ha proposto in un articolo intitolato: “Salvare la Partnership del Nord America per la Sicurezza e la Prosperità” a causa dell’ondata di critiche suscitata dall’organizzazione. Suggerisce di scartare la sigla SPP/NAU, optando per NASRA (North American Standards and Regulatory Area) per nascondere il suo vero obiettivo. Secondo l’articolo, il “brand SPP” è ormai infangato, quindi è necessario sostituirlo per proseguire le iniziative che il NAFTA ha lasciato orfane: integrare la sicurezza a tematiche riguardanti la qualità della vita, come la sicurezza alimentare, il riscaldamento globale, il cambiamento climatico e le pandemie. Reclama anche un maggiore sforzo comunicativo per blandire la pubblica opinione. Vogliono ingannare il maggior numero di persone possibile, finché non sarà troppo tardi per intervenire.

Malcontento in America a livello statale

Il 23 febbraio, obiettando al concetto di “integrazione profonda”, il giornalista Jim Kouri di «News with Views» (NWV) ha pubblicato un articolo intitolato: “Che i singoli stati dichiarino la propria sovranità”. Il testo ripropone le parole dello stratega politico Mike Baker, quando disse: «Gli americani sono sempre più disillusi dalla mancanza di prospettiva a lungo termine dimostrata dal governo federale su tematiche come l’immigrazione clandestina, il crimine ed il caos economico. Il governo federale intende addirittura insinuarsi nella vita privata dei cittadini, attraverso leggi sul controllo della circolazione delle armi da fuoco ed altre iniziative», temi che i Padri Fondatori «relegavano alla discrezionalità dei singoli stati».
È anche preoccupante che gli stati non riescano a finanziare i loro progetti a causa di budget troppo ristretti e siano costretti a fare tagli. Oltre a questo, anche l’intrusione di Washington nell’amministrazione della giustizia locale è preoccupante.

Finora, nove stati hanno dichiarato la loro sovranità ed un’altra dozzina sta pensando di farlo. Le leggi già approvate o proposte variano dai diritti generali a quelli selettivi, come il controllo della circolazione delle armi da fuoco e l’aborto.

Il 30 gennaio, lo stato di Washington si è schierato con loro ed ha approvato la legge HJM-4009, che dichiara:
«Il Decimo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti stabilisce che “i poteri non delegati dagli Stati Uniti ad opera della Costituzione, e non proibiti da essa, sono riservati rispettivamente ai singoli Stati, o alla popolazione”. Lo stesso emendamento definisce la portata totale del potere federale, stabilendo che esso è limitato a ciò che è esplicitamente scritto nella Costituzione.»
All’inizio di gennaio, anche il New Hampshire ha approvato una norma simile, la HCR-6, “che afferma i diritti degli Stati basandosi sui principi jeffersoniani”. Gli altri stati che, parzialmente o totalmente, concordano su questa linea sono la California, l’Arizona, il Montana, il Michigan, il Missouri, l’Oklahoma e la Georgia. Oltre a questi, i seguenti stati stanno attualmente dibattendo misure di questo tipo: il Colorado, la Pennsylvania, l’Illinois, l’Indiana, il Kansas, l’Arkansas, l’Idaho, l’Alabama, il Maine, il Nevada, le Hawaii, l’Alaska, il Wyoming e il Mississippi.

Oltre al dibattito sui diritti dei singoli stati, le tematiche principali di questo movimento sono:
— la crisi economica;
— il controllo nocivo che Wall Street esercita sulla politica;
— il suo effetto sul sistema dei Checks & Balances;
— i bailout eccessivi concessi ad un sistema bancario insolvente e corrotto a scapito dei budget degli stati individuali e dei loro diritti;
— la spesa pubblica spudorata ed insostenibile. Il debito pubblico che sta portando la federazione alla bancarotta, ponendo un peso insostenibile sulle spalle degli stati.

In linea di massima, ci si preoccupa che Washington sia complice nella crisi che attanaglia il paese e che voglia sbarazzarsi delle sue responsabilità oppure che, almeno, tenda ad assumere comportamenti di questo tipo. Se questo movimento si rafforza, servirà a rallentare il processo di “integrazione profonda” o a bloccarlo per un periodo considerevole, ma è improbabile che lo fermi del tutto. L’America delle corporazioni lo vuole, e generalmente ottiene ciò che vuole.

Potrebbe volerci più tempo, molto più tempo, a causa della crisi globale e del periodo necessario a superarla. Alcuni esperti annunciano a breve un’altra Grande Depressione peggiore della precedente ed addirittura peggiore dei “decenni perduti” del Giappone, dal 1990 ad oggi.
La priorità nel mondo dell’alta finanza e nei CdA delle grandi aziende è sfuggire alla crisi, se possibile. Eccetto che per motivazioni di “sicurezza nazionale”, tutto il resto viene in secondo piano. (Beh, buona giornata).

Articolo originale: SPP: Updating the Militarization and Annexation of North America.
Traduzione per Megachip a cura di Massimo Spiga

Stephen Lendman is a Research Associate of the Centre for Research on Globalization. He lives in Chicago and can be reached at lendmanstephen@sbcglobal.net

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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