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Stupro della Caffarella: gli esami del DNA smentiscono una sentenza già scritta.

di LUCA LIPPERA da ilmessaggero.it

ROMA (3 marzo) – L’inchiesta sullo stupro della Caffarella si complica ulteriormente. La Procura ha ammesso che esistono «discrepanze» tra il Dna dei romeni in carcere per la violenza di San Valentino e le tracce (di saliva, sudore e liquido seminale) individuate sulla vittima. Ma la vera novità sembra un’altra: le impronte sulle carte “sim” dei cellulari rubati ai fidanzatini, tirate fuori dagli aggressori nel parco e buttate nel bosco, sarebbero inservibili in quanto «troppo frammentarie»: potrebbe dunque diventare impossibile collegarle a Alexandru Isztoika, 19 anni, e Karol Racz, gli immigrati tuttora in carcere per la feroce violenza che ha scosso la città nel giorno di San Valentino.

I difensori dei romeni, Lorenzo Lamarca, e Giancarlo Di Rosa, convinti che «in uno Stato di diritto contino le prove e non le parole», hanno presentato due istanze al Tribunale del Riesame chiedendo la liberazione degli stranieri. I vertici della Procura, ieri, hanno fatto capire chiaro e tondo che i test del Dna sono negativi per entrambi i romeni. Ma c’è di più. Gli investigatori sembrano convinti che l’esperto della Criminalpol che ha eseguito gli esami possa aver commesso in buona fede un errore. I nuovi accertamenti, fatto non consueto, non verranno eseguiti dalla Polizia Scientifica: il compito è stato affidato a un biologo esterno che già domani potrebbe confermare l’esito del collega o ribaltare tutto. Nel qual caso dovrà spiegare dove e perché vi fu un errore.

È chiaro che la negatività dei primi test peserà. Se non ora, sull’eventuale processo. Il nervosismo tra gli investigatori si avverte ed è palpabile anche il timore di aver preso, magari solo parzialmente, un abbaglio. Non a caso nei prossimi giorni, per scongiurare la possibilità (più teorica che altro, ndr) di una commistione tra il Dna di diverse persone, il fidanzatino della quindicenne seviziata alla Caffarella potrebbe essere sottoposto a un prelievo per stabilirne il profilo genetico. I ragazzi verranno comunque risentiti. Perché, si fa capire in Questura, «ci sono da chiarire alcuni punti oscuri». Quali e quante siano le ombre non è dato, tuttora, sapere.
Ma gli investigatori, dopo la “bomba” sul Dna, ieri hanno manifestato ottimismo. Il capo della Squadra Mobile, Vittorio Rizzi, ha incontrato in Procura, a piazzale Clodio, Vincenzo Barba, il pubblico ministero che coordina l’inchiesta. La Procura giudica «del tutto parziali i test non attribuibili completamente agli indagati». Quello su Racz, in realtà, sarebbe completamente negativo. Quello su Isztoika, il “biondino”, ex pastore in Transilvania, lascerebbe invece qualche margine all’accusa. Il Pm ha confermato di aver «disposto nuovi accertamenti per cancellare i dubbi» convinto che ci siano «a carico dei due elementi pesanti come macigni».

Il capo della Mobile, rispondendo a un cronista dell’Ansa, ha anche parlato del giallo dei telefonini. I cellulari personali di Isztoika e Racz, all’ora dello stupro, sabato 14 febbraio, ore 18,30 circa, non erano agganciati ai ripetitori nella zona Caffarella. Rizzi ha definito il fatto «una fantasia giornalistica». I dati effettivamente non sono nel fascicolo dell’inchiesta, fascicolo che per ora nessuno (neanche la difesa) ha visto. È il comprensibile gioco delle parti tra chi raccoglie elementi d’accusa e chi si difende. La polizia sapeva, fin dai primi giorni dopo la violenza, che gli apparecchi erano altrove. La cosa può voler dire tutto e nulla: non è detto che un rapinatore porti sempre con sé il telefonino sapendo di poter essere “tracciato”. Così gli inquirenti hanno sorvolato.

Ora ci si concentra anche sulla successione di colloqui che ha portato la vittima a indicare Isztoika, il “biondino”, come uno degli stupratori. La ragazzina fu sentita una prima volta appena uscita dall’ospedale. Erano le 00,20 del 15 febbraio. La vittima parlò subito di un «giovane coi capelli chiari». Il pomeriggio dello stesso giorno, alle 16,30, con l’aiuto di una psicologa dell’associazione “Differenza Donna”, la quindicenne cominciò a far tracciare negli uffici della Mobile un primo fotokit dell’aggressore. Quattro ore dopo riconobbe, tra quelle che le venivano mostrate dalla polizia, la foto del romeno. Il giorno dopo la Mobile e il Questore di Roma potevano annunciare gli arresti. «Bravissimi o fortunatissimi disse Rizzi alla settima foto la vittima ha detto: “Ecco, è lui!”». Ma il bosco della Caffarella forse si è tenuto qualche lupo e molti misteri.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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