di CONCITA DE GREGORIO da unita.it
I due giorni che abbiamo appena trascorso sono stati i più bui nella breve storia del Partito democratico. Delle sue oligarchie, per l’esattezza: punite con severità assoluta da un elettorato stanco di lotte intestine e clandestine, dei giochi di potere sotterranei eppure così visibili, di mezze frasi dovute alla stampa e sorrisi di fratellanza esibiti ai fotografi da un residuo e sempre meno convinto obbligo di decenza. Dalla necessità di nascondere una lotta fratricida fatta di colpi bassi e bassissimi: una guerra che mai si cura del bene comune, dell’alleanza politica, dell’interesse pubblico, delle città e delle Regioni, delle persone che ci vivono, del Paese. Una politica dimentica di essere al servizio del Paese e dei cittadini, convinta che i cittadini siano al suo servizio: serbatoio di voti da usare alla bisogna come merce inerte. Gli oligarchi hanno ancora una volta giocato la loro partita a scacchi, fieri di escogitare ogni giorno nuovi trucchi, inedite strategie di offensiva reciproca. Gli elettori li hanno puniti: esausti, esasperati, nauseati fino al punto di farsi del male, pratica che del resto nel centrosinistra è consueta.
La bella e netta vittoria di Matteo Renzi alle primarie fiorentine segna il punto più basso della storia del partito che da solo fino all’altro ieri ha governato la città, che l’ha retta per decenni con maggioranze assolute e spesso “bulgare”, si diceva una volta. Gli eredi dei Ds hanno giocato ad ostacolarsi a vicenda in una trama che coinvolge ora anche gli epigoni della tradizione democristiana e che dunque vede sconfitto il cattolico Pistelli (candidato della segreteria), duramente sconfitto Michele Ventura (messo in campo all’ultimo minuto contro di lui dall’ala rivale), dignitosamente sconfitta l’unica donna che pure ha scontato l’impopolarità di un partito che il sindaco uscente ha più d’una volta apertamente criticato, per tacere del massacro che è stata la vicenda Cioni. Onore dunque alla vittoria di Renzi, trentenne presidente della Provincia gradito anche da un elettorato moderato e moderatissimo. Vince un giovane che si presenta come estraneo agli apparati, sebbene non esista Alice in un paese che ha perso ogni meraviglia. Renzi è il metro esatto della saturazione dei cittadini: un segnale definitivo di voglia di cambiare, l’ultimo.
Il tracollo catastrofico del centrosinistra sardo dentro il quale Renato Soru ha avuto successo personale molto alto (di 4 punti la sua distanza da Cappellacci, di 14 quella fra gli schieramenti nei dati provvisori della sera) racconta di un Pd che ha scelto di uccidersi piuttosto che provare a esistere. Soru è stato battuto dallo strapotere mediatico ed economico del premier, certo: un’offensiva senza precedenti che affonda nel burro di un’Italia indebolita allo stremo dalla lusinga perpetua della prepotenza del denaro e del disprezzo delle regole. Ma è rimasto vittima, Soru, anche della trappola del suo stesso partito. Quello che aveva apertamente sfidato e che nelle province rosse è arrivato ad esercitare il voto disgiunto contro di lui. Una vendetta. Uno sfregio che chi poteva non ha voluto o saputo evitare. Basta, ha detto il voto. A una sola cosa serve toccare il fondo quando non uccide. A risalire leggeri, sulla terra leggeri. (Beh, buona giornata).
Una risposta su “La direttrice de L’unità: “Soru è rimasto vittima anche del suo stesso partito.””
Nella campagna elettorale sarda sembra che Berlusconi sia apparso in tv, sia in video e in voce, per un totale di un’ora e mezza, mentre Soru soltanto per uno striminzito minuto e mezzo, e per di più soltanto in video. Questi dati sono stati monitorati dal Centro d’Ascolto Radicale, più volte diffusi da Marco Pannella e inviati personalmente anche a Soru. La cosa non è stata presa nella minima considerazione e sollevata come un vero e proprio scandalo da nessun organo di comunicazione o esponente politico del centro sinistra e della sinistra. Berlusconi ha lasciato consumare a fuoco lentissimo la farsa della Commissione Parlamentare sulla vigilanza Rai, per poter agire indisturbato, senza dover rispondere a nessuno del suo smaccato abuso mediatico in terra sarda. Ora le cose sono due. O ci troviamo di fronte a un’assoluta incomprensione, a un vero e proprio gap politico-culturale da parte (non solo) del Pd, circa il ruolo svolto dai media nelle società moderne, oppure, peggio, c’è stato un cinico “assenso-silenzio”. Può anche darsi che una più equilibrata proporzione delle apparizioni tv dei due antagonisti non avrebbe rovesciato il risultato, ma intanto la parità mediatica andrebbe rispettata “a prescindere”, “a priori”, prima e non dopo i risultati. Inoltre, se consideriamo che lo scarto personale di Soru è molto inferiore a quello tra i poli, ecco che le sue possibilità c’erano tutte, eccome! Tra i sardi che lo hanno votato alcuni sono certi che se si fosse presentato da solo, senza lo schieramento di chi lo aveva già affossato, avrebbe avuto più probabilità di vincere. Così, insieme a Veltroni, dovrebbe andarsene a casa tutto l’apparato politico e anche mediatico, giornalistico, televisivo, macchiettistico al seguito, per manifesta e definitiva incapacità, incomprensione, quando non occulta, mascherata, cinica collusione. Gesticolano, si sbracciano, fanno le comiche, gli sberleffi, i versacci, però non c’è niente di meglio che essere favoriti al massimo grado, non dal fido Emilio, ma proprio da questa arlecchinesca compagnia di giro.