di GIANNI VATTIMO da lastampa.it | |
Ma chi ha esercitato un po’ di carità cristiana nei confronti di Eluana Englaro? I fedeli che si riunivano nelle chiese e nelle piazze per scongiurare l’«assassinio», o il padre che, sostenuto da precise pronunce giudiziarie, voleva aiutarla a interrompere la sofferenza inutile della quale era prigioniera? È vero, non c’era un documento scritto di suo pugno in cui lei esprimesse il desiderio d’esser lasciata morire. Anche perché in Italia di testamento biologico non si è mai potuto discutere davvero, per responsabilità precipua di quella Chiesa che diceva di voler difendere la sua vita. Ma in mancanza del documento, i tutori «naturali», la famiglia, meritavano d’essere ascoltati. Non avevano certo nessun interesse a lasciarla morire, a meno che non si consideri interesse il desiderio di non vederla più soffrire e di non lasciarla ridursi a una larva. (E a meno di condividere l’osceno sospetto che il padre volesse liberarsi di un ingombrante fardello). Perché tenerla in vita a tutti i costi? Il diritto alla vita non può essere puramente diritto alla sopravvivenza biologica: respiro, processi digestivi, funzioni vegetative. Scienza e coscienza dei medici che la seguivano da 17 anni concordavano che non ci fosse speranza di recupero, dunque sopravvivere non poteva avere il senso di attesa di una guarigione. Non è comunque vita vegetativa quella di cui parla la tradizione cristiana o anche il buon senso umano. Propter vitam vivendi perdere causas? Pur di sopravvivere, rinunciare alle ragioni stesse della vita? I martiri cristiani accettavano la morte per non rinnegare la fede. Peccavano contro la vita? E i grandi suicidi della tradizione classica che preferivano la morte alla schiavitù sarebbero da condannare? Anche chi crede che la vita sia «un dono di Dio» non può non pensare che si tratta di accettarlo e gestirlo in piena libertà.
Ma se Eluana avesse scritto quel testamento biologico che ancora non esiste nelle nostre leggi, avremmo potuto da cristiani rispettare la sua scelta? Per quel che si è visto in questi giorni, la Chiesa non ammetterebbe mai che qualcuno possa chiedere d’esser lasciato morire, con la sospensione di cibo e idratazione – che, si è scoperto adesso in Vaticano e dintorni, non sono terapie (che il paziente può rifiutare), ma forme di assistenza elementare alla vita. Sono in gioco valori «indisponibili», questioni di principio. Proprio quelle che hanno preteso di legittimare, nei secoli, i tanti delitti ecclesiastici contro la carità: i roghi di streghe, eretici, liberi pensatori. Davvero non si può ammettere che una persona decida se la propria vita è ancora degna di essere vissuta o no? Se si pone questa semplice domanda, si vede come dietro la questione di principio (la vita è un bene indisponibile) si nasconda una pura questione di potere, e specificamente di potere ecclesiastico: nessuno di noi è in grado di conoscere il proprio «vero» bene, solo la Chiesa lo può. E il potere, la storia insegna, si conserva con la forza e il timore. Non è affatto inverosimile che la Chiesa, consapevole di non dominare più le coscienze con il timore dell’Inferno anticipa quelle pene al momento del morire. Oggi che la scienza-tecnica può prolungare la sopravvivenza vegetativa all’infinito, temiamo molto più dell’Inferno l’essere tenuti in vita in uno stato larvale, magari anche con dolore e sofferenza, almeno psicologica (il dolore è sempre «redentivo», e «nessuna lacrima va perduta», dice il Papa). È su questo terrore che la Chiesa non vuole perdere il suo dominio. Anche quelli fra noi che, come me, sono convinti della necessità dell’esistenza della Chiesa per trasmettere il Vangelo, non si sentono più di accettare per questo lo scandalo delle questioni di principio invocate per puro scopo di potere. Forse è vero che «se vuol distruggere qualcuno, Dio prima lo fa impazzire»? Cercare d’esser caritatevoli con Eluana e con tutti quelli che vogliono poter decidere sulla propria vita è anche un modo di aiutare la Chiesa a non distruggersi per delirio di onnipotenza. (Beh, buona giornata) |
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