Quei borghesi autoconvocati che a Milano tifano Pisapia-di ALBERTO STATERA- repubblica.it
“Milano è stata l’Eldorado d’Europa. Come si fa a lasciarla nelle mani del populismo plebeo di Bossi e di quello plutocratico di Berlusconi, interpretati per un grigio quinquennio dalla pochezza culturale di Letizia Moratti?”. Con queste parole, dopo vent’anni di ritirata, di ripiegamento neghittoso su se stessa, torna in scena la cosiddetta borghesia illuminata milanese.
Lo fa con l’auto-convocazione del plenum del Gruppo 51 (per cento) per sostenere nell’ultimo miglio la candidatura a sindaco di Giuliano Pisapia.
Coagulato da Piero Bassetti, classe 1928, olimpionico nella staffetta a Londra nel 1948, master alla London School of Economics, assessore a Milano negli anni Sessanta, primo presidente della Regione Lombardia e deputato dimissionario nel 1974 quando cominciò a vedere le danarose corti dei vari Frigerio assise al Savini, il Gruppo ha scelto un sito evocativo del riformismo ambrosiano: il vecchio circolo socialista De Amicis. E’ qui che i 101 professionisti, banchieri, manager, imprenditori, economisti, architetti, sociologi che per primi hanno firmato l’appello, danno stasera il benservito al blocco sociale conservatore che da un ventennio fa da tappo all’unica possibile “Glocal City” a sud delle Alpi, vagheggiando con Pisapia un blocco sociale nuovo e alternativo. Né di sinistra né di destra, composto di lavoratori e professionisti, di borghesia tradizionale e di neo-borghesia dei flussi e delle reti, come la definisce Aldo Bonomi, con quello che si chiamava ceto
medio e gli immigrati che ormai controllano e dirigono il 13 per cento delle imprese milanesi.
Altro che Zingaropoli.
Al De Amicis sfilano stasera in sobrietà, cifra tradizionale della vecchia borghesia meneghina, giuristi come Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale, banchieri come Alessandro Profumo e Piero Schlesinger, economisti come Pippo Ranci, Fabrizio Onida, Marco Vitale e Mario Artali. E poi l’ex presidente della Consob Salvatore Bragantini con Rosellina Archinto, l’avvocato Cesare Degli Occhi con il collezionista d’arte Giuseppe Berger, il notaio Giuseppe Fossati con il filosofo Fulvio Papi, il designer Fulvio Ronchi con la pubblicitaria Annamaria Testa. Una folta pattuglia socialista e un pezzo del Nuovo Polo, rappresentato, tra gli altri, da Bruno Tabacci.
“Non siamo qui per i begli occhi di Pisapia – esordirà lo speaker Piero Bassetti, che ci preannuncia i temi della serata – ma perché abbiamo visto profilarsi il miracolo dell’alternativa, né di destra di sinistra, ma incarnato da una persona che ha creato consenso senza soldi e senza partiti. Di fronte a una città e a un paese male amministrati, alle insulsaggini di Bossi sull’immigrazione, alle fesserie sui ministeri al nord, e alla miopia ringhiante di Berlusconi. Ora si può rimuovere questo blocco sociale conservatore che fa da tappo alla città e al paese. Il cambiamento urge non tanto per lo scandalo Ruby. Si sa, il potere è afrodisiaco, si può anche tollerare un puttaniere al comando, ma non far finta che non sia insidiata la democrazia in un paese che, tra l’altro, ha un parlamento di nominati”.
Sì, inutile negare che la partita di Milano si salda con quella nazionale, anche perché è qui che si sono sempre prodotte le fasi politiche innovative.
Tra il 1960 e il 1967, con la giunta del sindaco socialdemocratico Gino Cassinis, con Bassetti assessore al Bilancio, alle Finanze e all’Organizzazione, fu lanciato il Piano Milano che realizzò 144 mila vani di edilizia popolare, 30 scuole, il parco che costeggia viale Forlanini. Municipalizzò il gas della Edison con una battaglia campale appoggiata da Enrico Mattei, che aveva fondato Il Giorno, allora foglio progressista. Si fece il primo prestito di 2 milioni sulla Borsa di New York con l’aiuto di Raffaele Mattioli. Si creò in stazione Centrale il servizio di assistenza al Treno della Speranza, che arrivava tutte le notti dal sud, carico di immigrati, per i quali si istituirono corsi di alfabetizzazione.
“Oggi invece – lamenta Bassetti – si vive di paure indotte da una classe politica in gran parte insulsa, così oscurantista da non capire che non basta innalzare qualche grattacielo dell’Expo, che nutrire il pianeta è un tema che trascende le beghe politiche per le quote di potere, che la sfida non è il rifiuto dell’immigrazione, ma la gestione di un fenomeno ineluttabile, che è anche un’opportunità per fare veramente di Milano l’ottava Glocal City d’Europa. Il sindaco di Rotterdam è un immigrato. A Milano il credito al consumo erogato agli immigrati è pari a quello erogato ai milanesi. Banca Intesa ha costituito l’Extra Bank, istituto multietnico. Perché sa, come sanno tutte le altre banche, che se li buttiamo fuori dalle balle come vorrebbe Bossi, tagliamo di netto il 10 per cento della nostra economia e andiamo a fondo. Mi hanno definito un protoleghista perché con la sinistra di Base, sostenemmo l’autonomismo regionale. Ma i nostri riferimenti erano Salvemini, Miglio e Zerbi, non l’incultura leghista”.
Cosa hanno in mente dunque i redivivi borghesi illuminati, oltre a una decente amministrazione per Milano, ormai rattrappita nel suo bozzolo di neo-populismo fatto di arcaicità, provincialismo gretto, affarismo e potere rivolto all’interesse di pochi, se domenica prossima vincerà Pisapia? Molti di loro non negano nell’attuale situazione assonanze con gli anni Sessanta, quando qui con un nuovo blocco sociale si crearono le condizioni per il primo centrosinistra nazionale. Ma anche dissonanze, perché i partiti non hanno più il peso di allora e il populismo berlusconiano ha cambiato il sistema, nel senso che le leadership nascenti di sinistra contengono adesso elementi populistici, sia pure a “consenso critico” e non “acritico”, da tifoseria, come quello di destra. E non è facile coniugare il vecchio partitismo con le nuove forme di leadership.
Ci vollero tre anni perché l’esperimento del centrosinistra milanese fosse replicato a Roma, dopo molte resistenze, compresa quella di Aldo Moro. “Perciò attenzione – avverte Bassetti, che ne discute da mesi con gli altri “congiurati” – se vinciamo a Milano, il recepimento nazionale non sarà rapido. Non solo perché Bossi rischia di rimanere abbracciato a Berlusconi nell’agonia, rinviando il 25 luglio del berluscoleghismo, come i naufraghi che affogano. Ma anche perché il Pd dovrà adeguarsi ad alternative del tipo Pisapia. Non più l’Ulivo, ma forme neo-populiste a guida tranquilla e gentile. Il modello inglese che consente al leader di non dover negoziare. “Sì” o “no”, come al parlamento britannico. Quindi, meglio non improvvisare, se no la sinistra rischia grosso”. Non sarebbe la prima volta, avvertono al De Amicis. Al riformismo milanese seguirono le degenerazioni del craxismo e il berluscoleghismo. Addio Eldorado. (Beh, buona giornata).