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La Sindone esposta in questi giorni a Torino è un falso. Perché nel Terzo Millennio la fede cattolica ha bisogno di venerare relique e insistere ancora sugli aspetti feticistici e superstiziosi di questa come di tante altre «devozioni popolari»?

di Paolo Flores d’Arcais, da MicroMega 4/2010, in edicola

La Sindone esposta in questi giorni a Torino è un falso. O meglio, è un vero telo di lino di produzione medioevale, ed è vero – al di là di ogni ragionevole dubbio – che non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con il corpo di un profeta ebraico itinerante in Galilea ai tempi dell’imperatore Tiberio, morto per crocefissione a Gerusalemme sotto l’imputazione di lesa maestà all’impero romano. (….) Eppure, basterebbe confrontare quanto sappiamo dalla lettura critica dei vangeli sulla sepoltura di Gesù, per escludere che la Sindone di Torino abbia qualcosa a che fare con il suo corpo.

Basterebbe confrontare quanto ricaviamo dalle sepolture ebraiche di quell’epoca per giungere ad analoga esclusione.

Basterebbe prendere atto che quando in epoca medioevale la Sindone compare per la prima volta, il primo vescovo che se ne occupa la presenta esplicitamente e tassativamente come un artefatto di un artista dell’epoca (dando perfino ad intendere che sia noto il «chi»). Basterebbe prendere atto che l’analisi del tessuto, delle fibre, della lavorazione, esclude che il telo sia collocabile per la sua produzione nella Palestina dell’occupazione romana, e affermi che le sue caratteristiche coincidono invece con i manufatti medioevali.

Basterebbe prendere atto che l’impronta di un volto umano avvolto in un lenzuolo, una volta che il lenzuolo venga steso, ha una larghezza pressoché doppia di quella della Sindone – è il noto effetto della maschera di Agamennone, che ciascuno può riprodurre con se stesso – e che lo stesso effetto di «dilatazione» dell’immagine, benché in misura minore, dovrebbe aversi anche per il resto del corpo.

Basterebbe riconoscere che i rivoli di sangue (presunto sangue) avrebbero dovuto colare in direzioni completamente diverse, e del tutto diversi dovrebbero essere i segni (presunti) della flagellazione. Basterebbe prendere atto che la prova regina per ogni datazione di reperto archeologico, quella del carbonio 14, affidata dalla curia di Torino a tre laboratori internazionali di sua scelta, ha dato unanime e inequivocabile risultato: epoca medioevale, tra metà del Duecento e metà del Trecento.

Basterebbe prendere atto che tutti i tentativi per rimettere in discussione questi risultati, scoprendo pollini o monete ad hoc, sono stati tutti ridicolizzati da riscontri critici attenti e circostanziati (che il lettore paziente potrà trovare in questo volume).

Basterebbe non dimenticare che la fede non dovrebbe aver bisogno di reliquie, come non smise mai di sottolineare la Riforma, che stigmatizzava il carattere feticistico e superstizioso di questa come di tante altre «devozioni popolari».

Basterebbe infine ricordare che fu il cardinal Ballestrero, arcivescovo di Torino, a riconoscere che l’esame al carbonio 14 segnava la parola fine ad ogni disputa e doveva essere accettata da tutti i credenti. Ma tutte queste evidenze, ciascuna delle quali già da sé risolutiva, non serviranno a nulla.

Chi oggi vive nell’Italia di Berlusconi e Ratzinger non vive in un paese dell’Europa moderna, tale perché ha metabolizzato tre secoli successivi all’illuminismo, ma in un luogo geostoricamente oscuro e indefinibile, dove l’unica cosa certa è che il modello di razionalità e di scienza, quando va bene, è un’incredibile trasmissione di superstizioni chiamata Voyager, mentre l’accertamento dei fatti, lo spirito critico, l’uso della logica, sono additati urbi et orbi come il nemico e il male da cui libera nos. Amen. (Beh, buona giornata).

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Torino: il G8 si scontra con gli studenti.

G8 Università, scontri e tensione al corteo degli studenti dell’Onda di di OTTAVIA GIUSTETTI-repubblica.it

TORINO – Scene di guerriglia urbana questa mattina a Torino per il corteo del contro G8 dell’Università con migliaia di ragazzi da diverse città italiane, quasi tutti dei centri sociali, che hanno “assaltato” il Castello del Valentino dove nel frattempo si stava chiudendo il summit dei rettori dei paesi del G8. Lacrimogeni, bombe carta, pietre e manganelli hanno chiuso la manifestazione che però, dalle prime informazioni, si è conclusa senza gravi feriti. Secondo i dati forniti dalla questura di Torino diciannove agenti sono rimasti contusi o lievemente feriti negli scontri, mentre sembra che non ci siano feriti tra i ragazzi che hanno partecipato agli scontri. Due invece gli anti-G8 fermati, probabilmente del gruppo dei milanesi.

Solo tanta tensione, dunque, e uno “spettacolo” che si è rivelato assolutamente fedele alle aspettative. Con centinaia di agenti a blindare la città, elicotteri, e i contestatori che per l’appuntamento con la polizia hanno coperto i volti e hanno indossato caschi e bastoni schierandosi in file compatte dietro a uno scudo lungo oltre dieci metri camuffato da striscione.

Il corteo, formato da qualche migliaia di giovani, è partito intorno alle 11 dalla palazzina Aldo Moro, a fianco dell’Università, ribattezzata palazzina Block G8 per l’occasione, al seguito del camioncino di tutti i cortei dell’Askatasuna il noto centro sociale degli autonomi torinesi. Due blocchi di agenti in tenuta antisommossa aprivano e chiudevano il corteo che a passo svelto percorreva via Po, piazza Castello, via Pietro Micca, piazza Solferino, corso Re Umberto, corso Vittorio Emanuele, via Madama Cristina e corso Marconi per chiudere davanti al Castello. Lungo il tragitto qualche isolato contestatore ha lasciato scritte lungo i muri, a gruppetti hanno acceso fumogeni davanti all’ingresso delle banche, mentre i negozianti chiudevano le saracinesche lungo il loro passaggio.

Gli uomini della Digos, guidati da Giuseppe Petronzi, hanno accompagnato il corteo, in borghese, lasciando che gli abitanti rimanessero in strada a seguire la manifestazione. Non raccogliendo né lanciando alcuna provocazione hanno lasciato che si arrivasse al Castello senza incidenti. E lì si è messa in scena la guerriglia annunciata. I ragazzi hanno indossato la loro “armatura” e gli agenti pure. I primi schierati su un fronte del corso, gli altri sull’altro. La tensione saliva mentre i ragazzi dell’Askatasuna dalla camionetta incitavano con il microfono allo scontro. Dopo una ventina di minuti gli anti-G8, caschi in testa e volti coperti, hanno serrato le fila e hanno cominciato ad avanzare verso la polizia. Dietro allo scudo avevano estintori. Hanno lanciato bottiglie, pietre e bombe carta. I poliziotti hanno indossato le maschere e sparato i lacrimogeni costringendo i manifestanti alla ritirata. La carica vera e propria è durata pochi minuti. Al termine dei quali gli anti-G8 hanno riformato il corteo e sono tornati a Palazzo Nuovo.

Dal Castello del Valentino i rettori hanno risposto: “Non ci siamo barricati, siamo sempre stati e rimaniamo aperti al dialogo con gli studenti. In quello che è successo ieri e oggi c’è stato un difetto di comunicazione”. Il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, del presidente della Crui Enrico Decleva e di Giovanni Puglisi, il rappresentante della Commissione Italiana per l’Unesco, a conclusione dei lavori del summit hanno firmato il documento che sarà inviato al vero G8 di luglio a l’Aquila. (Beh, buona giornata).

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