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Aspettando la manovra finanziaria del governo Berlusconi, quello che non metteva le mani nelle tasche degli italiani.

L’Italia sale al quinto posto nella classifica europea: lo scorso anno il peso del fisco sul pil è stato del 43,2%, in aumento rispetto al 2008. Debito pubblico è sempre il più alto d’Europa: nel 2009, in rapporto al prodotto interno lordo, è aumentato di quasi 10 punti rispetto all’anno precedente. Lo dice l’Istat. Beh, buona giornata.

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Come fa chi ha provocato la crisi a farci uscire dalla crisi? Semplice: ci tolgono i soldi dalle tasche, ci tolgono il futuro del futuro dei figli. E’ il neo-liberismo, bellezza!

E’ cominciata: tutta l’Europa per sopravvivere “mette le mani nelle tasche” dei suoi cittadini-blitzquotidiano.it

Piaccia o no ai governi dei singoli Stati, l’Europa per sopravvivere e non fare bancarotta “metterà le mani nelle tasche” di greci, spagnoli, portoghesi, francesi, tedeschi, inglesi, italiani…I governi di tutta Europa se lo sono reciprocamente promesso, non avevano alternative. Si sono però “dimenticati” di dirlo con chiarezza ai rispettivi governati. Per questa “omissione” hanno una sola robusta ma insufficiente attenuante: i cittadini di ogni paese fanno fatica a capire prima ancora che a digerire. E quindi, poichè non c’è “miglior sordo di chi non vuol sentire”, i governi mormorano, borbottano ma non parlano chiaro. Ogni giorni i cittadini d’Europa leggono o sentono in tv: 700 e passa miliardi stanziati come scudo per la crisi finanziaria. Oppure: la Bce compra i titoli di Stato dei paesi in forte deficit. I cittadini leggono, sentono e archiviano il letto e il sentito nel “cestino” di ciò che non li riguarda direttamente, di ciò che non tocca le loro tasche. I cittadini pensano, ostinatamente vogliono pensare che quei miliardi e quei soldi siano soldi di “altri”, soldi degli Stati e delle Banche Centrali. Così non è, presto i cittadini d’Europa vedranno che sono soldi “loro” perchè i soldi degli “altri” non esistono se non nella fantasia.

E’ fresca d’inchiostro la nuova ipotesi di “Patto economico” elaborata dalla Commissione Europea che i governi nazionali dovranno sottoscrivere la prossima settimana. C’è scritto che bisogna “prevenire” i casi di eccessivo defcit e debito pubblici. Che tutti i paesi devono sottostare ad esame e verifiche semestrali di quanto spendono, che chi sfora incassa “sanzioni automatiche”, che le sanzioni sono di fatto multe in denaro che finiscono in “depositi fruttiferi” che i songoli governi non amministrano più. C’è scritto insomma che la politica economica e finanziaria dei singoli paesi deve essere “coerente” con quella di tutti gli altri Stati. C’è scritto che italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, greci e tutti gli altri devono reciprocamente rendersi conto di come spendono i loro euro. Diminuzione di sovranità per ogni paese? Certamente sì. Ma, se non piace, Barroso, presidente della Commissione Europea, parla chiaro: “Se i governo non vogliono l’unione economica, tanto vale dimenticarsi dell’unione monetaria e rinunciarvi”. Se non piace, addio euro, ciascun per sè e dio per tutti. I paesi deboli svaluteranno la moneta e avranno la maxi inflazione, i paesi debolissimi avranno default e bancarotta, quelli forti si faranno male ma sopravviveranno.

Vale la pena di “tradurre” cosa significhi il nuovo “Patto economico”, quello senza il quale l’Europa si scioglie e l’euro si squaglia e ciascuno resta solo con i suoi debiti. Significa che entro il 2012/2013 tutti i paesi d’Europa devono avere un deficit annuo rispetto al Pil intorno al tre per cento (l’Italia è sopra il cinque, la Grecia intorno al 15, Gran Bretagna e Spagna intorno al dieci…). Significa anche che chi ha un debito pubblico pari o superiore al cento per cento del Pil, qui purtroppo l’Italia guida la classifica dei debitori, deve smetterla di accumulare debito. Deve smetterla se vuole che dei suoi debiti rispondano e siano garanti anche gli altri Stati, governi e cittadini europei.

In Spagna Zapatero ha già “tradotto”: meno cinque per cento di stipendio ai dipendenti pubblici. Ha “tradotto” a denti stretti Zapatero, ma non poteva non “tradurre”. “Traduzione” portoghese: meno sei per cento sugli stipendi pubblici e privatizzazione di grandi compagnie pubbliche, cioè meno soldi per i dipendenti e meno dipendenti. Traduzione francese: meno dieci per cento complerssivo della spesa pubblica, regola del pensioni due e assumi uno nella Pubblica amministrazione, cancellazione di 500 esenzioni e agevolazioni fiscali per le aziende private. Traduzione tedesca: addio al calo delle tasse promesso in campagna elettorale. Traduzione greca: via la tredicesima e la quattordicesima per i pubblici dipendenti, stipendi congelati per i dipendenti privati, aumento dell’Iva. La traduzione inglese ancora non c’è, Cameron si è appena insediato ma tutti sanno che i Conservatori taglieranno le spese per il Welfare britannico, nè i laburisti avrebbero potuto fare diversamente se avessero vinto le elezioni.

E la “traduzione” italiana qual è? Per ora suona come 26 miliardi di minor spesa in due anni, per ora. Due miliardi in meno tra Sanità e spesa farmaceutica, circa dieci miliardi in meno di spesa tra ministeri ed Enti locali, probabile blocco dei contratti, cioè niente aumenti di stipendio per i dipendenti pubblici. E niente calo delle tasse, neanche a parlarne. Forse addirittura un rinvio del federalismo se federalismo dovesse significare maggior spesa immediata prima dei vantaggi futuri.

Tutti dunque “metteranno le mani nelle tasche” dei loro cittadini. E lo faranno perchè altrimenti quelle tasche si “sfondano” o restano piene di soldi svalutati o di debiti impossibili da garantire. Sarà dura, amara, inevitabile e sarà meglio di ogni possibile alternativa. Sarebbe anche meglio che ce lo dicessero, con coraggio politico e civile. Più ce lo nascondono e più allevano una reazione isterica delle pubbliche opinioni, quella reazione che vogliono evitare. (Beh, buona giornata).

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Guardate “Il Grande Fratello”, guardate “L’Isola dei Famosi”, andate nei centri commerciali,litigate per un paio di scarpe firmate, siate gli ultimi della vostra classe, che è più fico che saperne di più. Bravi coglioni: vivete in un Paese in cui chi lavora guadagna meno che nel resto d’Europa, e paga più tasse. Continuate a fòtterneve, non leggete: che tanto quelli fottuti siete voi.

Salari italiani tra i più bassi nella classifica dei Paesi Ocse. L’Italia si colloca per gli stipendi al 23mo posto, con guadagni inferiori al 16,5% rispetto alla media dei trenta Paesi che fanno parte dell’organizzazione di Parigi. Particolarmente penalizzati gli italiani single e senza figli, i cui salari restano ai livelli più bassi tra i paesi Ocse, superati anche dagli stipendi in Spagna e Grecia, mentre l’Italia vanta una pressione fiscale sulle retribuzioni ai livelli più elevati. I dati sono riferiti al 2009 e l’Italia si colloca nella stessa posizione dell’anno precedente. E’ quanto risulta dal Rapporto ‘Taxing Wages’ dell’Ocse.

Il peso di tasse e contributi sui salari, il cosiddetto cuneo fiscale che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore, è in Italia al 46,5%, rileva ancora il rapporto Ocse. Nella classifica dei maggiori trenta Paesi, aggiornata al 2009, l’Italia è al sesto posto per peso fiscale sugli stipendi, dopo Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%). Il peso di tasse e contributi sui salari in Italia è rimasto stabile dal 2008 al 2009, registrando solo un lieve (-0,03%). L’Italia occupa infatti nella classifica Ocse la stessa posizione, la sesta, rispetto all’anno precedente.

In Italia, precisa ancora l’Ocse, hanno un impatto rilevante sulla differenza tra salario lordo e netto anche i cosiddetti ‘pagamenti obbligatori non fiscali’, rappresentati dal tfr, che aumentano la pressione di un ulteriore 3%. “Aggiungendo questa variabile – spiega un economista dell’ Ocse in un incontro con la stampa – il prelievo obbligatorio sui salari in Italia sale oltre il 49%, portando il Paese a superare la Francia in termini di quota di imposizione”. I ‘pagamenti obbligatori non fiscali’, secondo la definizione dell’Ocse, sono pagamenti che il lavoratore o il datore di lavoro devono versare per legge, ma non al governo, come i contributi in fondi pensione privati o pagamenti per polizze assicurative. Il loro impatto sui redditi delle famiglie, e sul costo del lavoro, è differente da quello delle imposte tradizionali, dato che spesso si tratta di contribuzioni nominali, che il lavoratore riottiene quando lascia il posto o va in pensione (come, appunto, nel caso del Tfr). Beh, buona giornata.

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Il Governo: “Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”. Bankitalia: non è vero.

Bankitalia: cresce la pressione fiscale
Ripresa ancora debole, giù i redditi
Il peso del fisco nel 2009 salito dal 42,9 al 43,2%. L’indebitamento delle famiglie è al 60%, consumi ancora in calo. 700.000 disoccupati in più rispetto all’aprile dell’anno scorso, per i giovani il tasso è al 28,2%. Conti pubblici peggiorati. Lieve ripresa, ma investimenti ancora stagnanti

Bankitalia: cresce la pressione fiscale Ripresa ancora debole, giù i redditi
ROMA – Cresce il peso delle tasse sulle tasche degli italiani: nel 2009 la pressione fiscale è passata dal 42,9 al 43,2%. Lo afferma la Banca d’Italia nel Bollettino Economico. “In Italia la ripresa economica è ancora debole”, scrive via Nazionale, aggiungendo che “sulle prospettive di crescita pesano la debolezza della domanda interna e la lenta ripresa dell’export”. Il reddito disponibile delle famiglie “è calato di oltre due punti percentuali in termini reali nella media dello scorso anno”. Tuttavia “uno stimolo temporaneo ai consumi” dovrebbe arrivare, a partire da aprile, grazie agli incentivi decisi dal governo.

Indebitamento delle famiglie al 60%. L’indebitamento della famiglie italiane è salito, ma resta parecchio al di sotto di quello medio dell’area euro: se da noi il debito è quasi al 60% del reddito, nei 16 Paesi della moneta unica arriva ormai al 95%. “Nel quarto trimestre del 2009 – rileva via Nazionale nel Bollettino di aprile – il debito delle famiglie in rapporto al reddito disponibile è lievemente salito, al 60%. L’incremento ha riflesso prevalentemente l’aumento dei prestiti bancari a medio e a lungo termine e la riduzione del reddito disponibile. Il livello dell’indebitamento rimane comunque nettamente inferiore a quello medio dell’area dell’euro (prossimo al 95% a settembre del 2009)”.

Consumi ancora in calo. I consumi sono deboli e non si vede all’orizzonte un’inversione di tendenza. Dopo la contrazione dei consumi dell’1,8% registrata nel 2009, i segnali per i primi mesi del 2010 non delineano una inversione di tendenza. Il clima di fiducia dei consumatori, in progressivo miglioramento nella seconda metà del 2009, “è tornato a peggiorare quest’anno, riportandosi, in marzo, sui livelli dello scorso giugno”. Sulla fiducia delle famiglie “pesa il maggiore pessimismo circa la situazione economica generale del Paese e l’accresciuta preoccupazione sulle condizioni del mercato del lavoro: la percentuale dei consumatori intervistati che prevede un forte aumento della disoccupazione nei prossimi dodici mesi è salita oltre il 30 per cento in marzo, il doppio di quanto registrato lo scorso luglio”.

Peggiorati i conti pubblici. “La situazione delle finanze pubbliche è notevolmente peggiorata”, rileva la Banca d’Italia, ricordando che l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è salito nel 2009 al 5,3% del Pil, dal 2,7% del 2008. Il risultato è in linea con le valutazioni ufficiali dello scorso luglio, confermate nei mesi successivi. L’aumento del disavanzo, osservano gli economisti di Via Nazionale, “è riconducibile alla marcata crescita della spesa primaria e alla flessione delle entrate, anche se quest’ultima è stata meno pronunciata di quella del Pil nominale”. Il forte peggioramento dei conti è comunque “quasi interamente riconducibile alla flessione dell’attività economica”.

Modesta ripresa ma investimenti stagnanti. L’attività “è in ripresa” ma “ristagnano gli investimenti produttivi”. Nella media del primo bimestre del 2010 l’attività manifatturiera è cresciuta dell’1,4% in termini congiunturali, riguadagnando circa sette punti percentuali rispetto al punto di minimo. Trainato dalla componente estera, l’indice degli ordinativi dell’industria, deflazionato con i relativi prezzi alla produzione, è aumentato dell’1,3% nella media dei tre mesi terminanti in gennaio

In un anno 700.000 occupati in meno. “Rispetto al picco raggiunto nell’aprile del 2008, il numero delle persone occupate è diminuito di oltre 700 mila unità (-3,1%)”, precisa il Bollettino della Banca d’Italia. Il calo dell’occupazione prosegue dunque anche nei primi mesi del 2010: in gennaio e febbraio “la flessione è stata pari in media allo 0,4% sull’ultimo trimestre 2009”, afferma via Nazionale, ricordando come tra ottobre e dicembre scorso l’occupazione abbia registrato, “per il sesto trimestre consecutivo”, un ulteriore calo dello 0,2% sul trimestre precedente. A febbraio pertanto il tasso di disoccupazione “ha raggiunto l’8,5%, 1,2 punti percentuali in più” rispetto allo stesso mese del 2009. Ed è tra i giovani, nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni, che si registra l’aumento più pesante: il tasso di disoccupazione infatti “è cresciuto di quattro punti, raggiungendo il 28,2%”. (beh, buona giornata).

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“Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte.”

G8, il fumo e l’arrosto: non fidatevi di stampa e tv, italiane e straniere. Raccontano solo la scena, ma la sostanza…di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

Del G8 ci sarà raccontata solo e soprattutto la scena. Poco o niente ci verrà invece narrato della sostanza. Per abitudine e pigrizia, per modello culturale e metabolizzata ignoranza, per libera scelta ed imposto modello, il grande sistema di comunicazione di massa altro non vede e quindi “comunica” che la scena. Non necessariamente il fumo al posto dell’arrosto, ma sempre e comunque la scena sì e la sostanza no. Poco male, tenendo conto che il G8 è per ammissione e consapevolezza dei suoi stessi protagonisti soprattutto “parata”, sfilata di problemi, esibizione di intenti. Poco male la narrazione limitata alla scena, basta, basterebbe, saperlo. Ma stavolta c’è qualcosa di più e di diverso: stavolta nel e del racconto della scena non bisogna fidarsi, sia che venga da stampa e tv italiane, sia che arrivi da stampa e tv straniere.

Entrambe narreranno in maniera inaffidabile. Perchè il G8 si svolge in Italia. Un paese dove l’appunto alla scenografia, la non lode della messa in scena diventa un atto destabilizzante, politicamente destabilizzante. Quindi la gran parte dei media italiani si sentiranno investiti di una responsabilità e di un mandato “istituzionale” a raccontare che tutto è risultato grande utile e bello della tre giorni abruzzese. Sarà un racconto di trionfi e perfezione “a prescindere”. Come altrettanto a prescindere dalla realtà sarà il racconto di una minoranza dei media italiani, pronti a cogliere un cigolio di una porta o un mugugno di cittadino come presagio di debolezza politica. Succede nei contesti emergenziali-autoritari che l’arredo, la puntualità, la soddisfazione dei commensali a tavola siano indicati dal potere e raccolti dall’informazione come simboli e notizie di buon governo e viceversa. Succede oggi in Italia.

Simmetricamente da non fidarsi sarà la narrazione della stampa e tv straniere. Se la comunicazione italiana ha ingurgitato e assimilato il pregiudizio della lode come “mission” informativa, fuori dai confini si adotta il pregiudizio per cui un paese berlusconizzato non può che essere “unfair” qualunque cosa faccia. La stampa straniera descrive un paese politico che non c’è, racconta gli ultimi giorni di “Berluscolandia”, racconterà a prescindere i tre giorni de L’Aquila applicando lo stesso falso schema.

La scena del G8 verrà dunque narrata con enfasi e trionfi che non ci sono se non nel dettato della regia, oppure con incertezze e passi falsi costruiti a tavolino. Comunque racconti già scritti. Solo il terremoto nella sua disumana imprevedibilità potrebbe mutare i racconti che sono già nella testa degli uomini. O forse nemmeno il terremoto. In caso di una scossa che sconvolgesse il G8, probabilmente anche qui i racconti sono due e già scritti anch’essi: il racconto dell’eterno otto settembre italiano in cui tutti si squagliano, lo Stato per primo, oppure il racconto di San Bertolaso che sconfisse il Drago che scuoteva la terra portando al dito l’anello magico consegnatogli da re Silvio.

E la sostanza del G8? Hanno davanti le tre fasi della crisi economica. Quella finanziaria che è tamponata, arginata ma non finita. Devono, dovrebbero, vogliono, vorrebbero scrivere e far rispettare nuove regole restrittive all’uso finanziario del denaro su scala planetaria. Non sanno se si può fare, non sanno fino a che punto è utile farlo, non sanno se riusciranno a farlo tutti insieme.

Quella del lavoro e dell’occupazione che cala, la fase della crisi che non è tamponata e anzi si allargherà per almeno due anni. Devono decidere se fronteggiarla spendendo denaro pubblico, ma non possono indebitarsi tutti alla stessa maniera. Oppure rintanandosi e aspettando che passi. E poi ci sarà la terza fase, quella del rientro dai debiti pubblici dilatati, quella che, quando verrà, potrebbe stroncare più di una popolarità e di un governo. Quando verrà sarà l’inizio della fine della crisi ma sarà il momento delle tasse o dell’inflazione.

Devono e vogliono, ma non parlano la stessa lingua. Negli Usa la “lingua” del governo e del paese coniuga la grammatica della speranza, la retorica del nuovo inizio, la sintassi della scommessa ed è una lingua parlata con un “accento” culturale che potremmo definire emotivamente e socialmente di sinistra. In Europa si parla la lingua della paura, della difesa strenua dell’esistente, della bilancia tra le corporazioni. Alla crisi l’Europa reagisce con sentimenti e voglia di destra. Accadde già dopo la crisi del 1929, di là il New Deal, di qua la borghesia e i ceti popolari impauriti che sceglievano regimi autoritari. L’ha rilevato D’Alema, non per questo vuol dire sia sbagliato. E’, insieme, una suggestione storica e una constatazione empirica. In ogni caso non saranno i G8 a L’Aquila a decidere, saranno i G20 a Pittsburgh a settembre. E’ quella la sede dove parlano e contano le altre grandi economie mondiali, a partire dalla Cina che ha, niente meno, bisogno insieme di sviluppo del Pil, welfare interno, stabilità finanziaria degli Usa e mantenimento del livello dei consumi americani. Lettere a appelli di Ratzinger o Bono è meglio che portino anche questo secondo indirizzo.

Ci sono poi e niente meno che la pace e la guerra. Se la Cina non taglia il cordone ombelicale, la Corea del Nord non crolla e non molla. Ma, se la Corea crolla, la Cina deve accollarsela. Quindi la Cina non taglia. E non deciderà certo di farlo a L’Aquila. L’Iran: con somma leggerezza e disinvoltura Berlusconi ha annunciato giorni fa nuove sanzioni verso Teheran. Sanzioni che non ci saranno. Non funzionano e Mosca non vuole che funzionino. E poi sanzioni potrebbero rafforzare il regime ormai militare di Teheran. Con l’Iran l’Occidente non sa bene che fare. L’unica cosa che sa bene, Obama e non l’Europa, è che in Afghanistan c’è una guerra vera da non perdere. Lui infatti ha deciso di combatterla, gli altri stanno a guardare, i più amichevoli fanno il tifo ma non osano dire alle rispettive opinioni pubbliche che val la pena morire per Kabul.

Quindi il clima. Strana umanità quella rappresentata al G8. Non c’è cittadino del mondo sviluppato che non sia consapevole e preoccupato. Però quando questo cittadino diventa imprenditore, operaio, automobilista o comunque consumatore di energia, consapevolezza e preoccupazione evaporano. Obama una legge perchè gli americani consumino meno e diversa energia l’ha fatta. Negli Usa proveranno ad applicarla. In Europa una direttiva l’avevano fatta, l’abbiamo fatta. Nella certezza che nessuno l’applicherà.

Sostanza dura e scarsa dunque quella del G8. Ma non si vedrà perchè sarà tutta scena, scena per la quale lavorano anche quelli che protestano. Gridano che non vogliono che otto o ottanta potenti decidano per il mondo, per i popoli. Giurano che questo è il guaio. Al netto del fatto che i popoli, quando parlano, parlano con discreta babele tra loro e comunque con lingua non sempre diritta, il vero guaio è che gli otto o ottanta potenti sono abbondantemente impotenti. Magari il G8 fosse quello che i no global immaginano e paventano, magari ci fosse un governo del mondo. E’ proprio quel che manca il governo del mondo, ma questo tutti gli attori in scena non lo racconteranno, perderebbero la parte. (Beh, buona giornata).

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Lavoro

E’ ufficiale: in Italia stipendi da fame.

Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse. Con un salario netto di 21.374 dollari, l’Italia si colloca al 23/o posto della classifica dei 30 paesi dell’organizzazione di Parigi. Buste paga più pesanti non solo in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia, ma anche Grecia e Spagna. E’ quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato.

La classifica riguarda il salario netto annuale di un lavoratore senza carichi di famiglia. E’ calcolato in dollari a parità di potere d’acquisto. Gli italiani guadagnano mediamente il 17% in meno della media Ocse. Salari italiani penalizzati anche se il raffronto viene fatto con la Ue a 15 (27.793 di media) e con la Ue a 19 (24.552). Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro

Toh, il ministro Tremonti ammette che in Italia aumentano le tasse.

Nella Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica per il 2009 (Ruef), presentata dal Ministero dell’Economia c’è scritto che la pressione fiscale è in aumento.

La pressione fiscale complessiva nel 2008 è risultata pari al 42,8%, inferiore di soli 0,3 punti percentuali rispetto al 43,1% del 2007. Però. quest’anno il peso del fisco arriverà al 43,5% del pil.

Nella Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica per il 2009 (Ruef), si segnala peraltro che lo scorso anno c’è stato una flessione dello 0,7% delle entrate tributarie, che ha interessato sia la componente erariale (-0,5%) sia quella locale (-1,6%): sulla componente locale – viene ricordato – ha influito anche l’eliminazione dell’ Ici sulla prima casa. (Beh, buona giornata).

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Come si chiama il segretario di Rifondazione comunista: Ferrero o Tafazzi?

Terremoto, Abruzzo, Tasse e Imposte/ Ferrero (Prc): tassare i ricchi (cioè quelli sopra i 4.500 euro netti mese) da blitzquotidiano.it

Tassare i ricchi, è lo slogan di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista. Principio sul quale quasi tutti convengono. Ma quando passa a definire chi è ricco, Ferrero indica la soglia di 100 mila euro lordi annuo di reddito lordo. Data l’attuale pressione fiscale diretta oggi in Italia, la cifra si traduce in uno stipendio intorno ai i.500 euro netti al mese. E si dice stipendio, perché di solito le imposte sul reddito colpiscono soprattutto i dipendenti, cui vengono prelevate direttamente dalla busta paga: anzi, i dipendenti, quei soldi manco li vedono. Invece gli autonomi e i commercianti si arrangiano e i padroni pagano solo il 20% sui dividendi. E con i padroni, nemmeno il comunista Vincenzo Visco, che pure ha infierito sui dirigenti d’azienda, non ha avuto il coraggio di prendersela.

E questi sono i concetti di Ferrero, come riportato dall’agenzia di stampa Agi:” Altro che spostare capitoli e voci di spesa. Per finanziare la spesa necessaria per la ricostruzione del post-terremoto in Abruzzo, il ministro Tremonti vuole mettere a repentaglio la spesa pubblica, possibilmente tagliandola ancora di più di quanto non abbia già fatto il suo governo, ma si tratta di una misura del tutto sbagliata e inutile. Per finanziare la ricostruzione c’è una strada, ed è molto semplice: basta aumentare le tasse ai ricchi, introdurre una tassa sui grandi patrimoni, tassare le rendite finanziarie, aumentare le tasse per i redditi sopra i 100 mila euro. Ecco un modo semplice ed efficace per garantire la ricostruzione”. (Beh, buona giornata).

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Nella lista dei paradisi fiscali manca l’Italia, inferno per il Fisco.

(Fonte: RaiNews24)

Il G20 di Londra ha preso la storica decisione di chiudere l’anomalia dei cosiddetti ‘paradisi fiscali’, prevedendo una lista di cattivi ed una serie di sanzioni a chi non collabora che saranno decise a breve dai ministri delle Finanze. Un provvedimento che e’ il segnale della fine di un’era, anche se tutti sono consapevoli che il percorso e’ tracciato ma non concluso.

Costa Rica, Malaysia, Filippine e Uruguay sono presenti nella lista nera dell’Ocse sui paradisi fiscali.

Nella lista, pubblicata dopo che i leader del G20 hanno deciso di portare avanti una lotta ai paesi non cooperativi, l’Ocse ha inoltre citato alcuni Paesi che non applicano completamente le regole internazionali: la lista numero due – la lista “grigia” – comprende 38 Paesi fra i quali Monaco, Liechtenstein, Antille olandesi, Belgio, Svizzera e Lussemburgo, e riguarda Stati che pur essendosi impegnati a rispettare le regole dell’Ocse non le hanno “in sostanza” applicate. (Beh, buona giornata).

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